Diciamola tutta: il carcere per la diffamazione è un residuo normativo fascista e va abolito, ma il coro delle vestali a tutela del soldato Sallusti è un inedito della stampa italiana che dovrebbe indurre tutti a fermarci e riflettere. Perché in questo caso la libertà di stampa non c’entra per nulla. Nessun reato di opinione, solo una pesante diffamazione, apparecchiata con notizie false. Uno sporco lavoro della malafede, visto che dietro le bandiere della solidarietà a Sallusti c’è una delle pagine più vergognose del giornalismo italiano: un direttore già sospeso per due mesi che pubblica sotto pseudonimo il pezzo di un collega (sic!, radiato per i suoi rapporti con servizi segreti, condannato per avere portato in carcere un aspirante tronista a Lele Mora) che è un concentrato di opinioni velenose fondate su un presupposto falso con l’obbiettivo di tirare acqua al mulino del fronte antiabortista e vantando nuovi crediti con la Chiesa.

Che c’entra il normale giornalismo con tutto ciò? Qui ci sono due compari (Sallusti e Betulla) che chiedono la pena di morte per genitori e magistrato (che non ha imposto alcun aborto) imbastendo un clamoroso falso che scatena le invettive dei lettori cattolici attivandone gli istinti più bassi. Nulla di nuovo rispetto a quanto ci ha fatto vedere in questi anni la stampa berlusconiana, ma di ciò non tiene conto il coro unanime, dal Colle alle firme più prestigiose, passando per via Arenula, riparato sotto l’ombrello dell’art. 21 della Costituzione, che grida la propria angoscia per la sorte carceraria del direttore denunciando l’attentato alla libertà di stampa. E allora diciamo che nella vicenda Sallusti c’è in gioco una fetta robusta della credibilità, o quel che ne resta, del giornalismo italiano. Non giudico le opinioni, per quanto velenose ed estreme, ma mi aspetto che qualcuno lo faccia per le notizie false, certificate, per la prima volta in modo inusuale, dalla Cassazione che ha anticipato in una nota le motivazioni della condanna; una nota in cui il consigliere Raffaele Botta ha scritto che «è opportuno precisare» aspetti del caso Sallusti «non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi»: e cioè che il 18 febbraio del 2007 Libero è l’unico giornale a pubblicare la storia (falsa) della bambina torinese, nonostante 4 (quattro) lanci Ansa del giorno precedente (a partire dalle 15) l’avessero smentita. “Non l’abbiamo vista, eravamo in auto” è la risposta della redazione di Libero al giudice Giuseppe Cocilovo, che chiedeva una rettifica, mai avuta. Ed è una risposta che si commenta da sola.

Oggi c’è chi scomoda Voltaire, chi propone ”Arrestateci tutti”, chi si spinge a lanciare la campagna ”Siamo tutti Sallusti” in nome della libertà di pensiero, di opinione, di espressione, patrimonio inestimabile dell’umanità. Siamo su Scherzi a parte? I martiri della libertà di stampa in questo paese si chiamano Francese, De Mauro, Rostagno, Spampinato, Cristina, Alpi, Hovratin, Alfano, Tobagi, Casalegno, e mi scuso con tutti gli altri che non cito. Quella di Sallusti è libertà di diffamare e mistificare i fatti truffando l’opinione pubblica, libertà certificata (e sanzionata) dalla Cassazione. Ho letto che il segretario della Fnsi Franco Siddi chiama a raccolta la categoria‚ “è sconvolgente, dobbiamo sentirci tutti condannati come Sallusti”. Io non sono Sallusti, non lo sarò mai e soprattutto non mi sento condannato come lui. Perché faccio un altro mestiere: il giornalista. E chi lo fa senza diffamare non si sente né intimidito né condizionato dalla prospettiva del carcere per Sallusti: sa che la mannaia della legge, per quanto eccessiva e ingiusta, è caduta sul collo di una persona che utilizza il proprio giornale per obbiettivi che nulla hanno a che fare con l’informazione. Sollecitare ai massimi livelli solidarietà in favore di Sallusti, oggi considerato martire della libertà alla stregua dei dissidenti cinesi o russi significa accendere un faro abbagliante che nasconde i termini professionali della vicenda pregiudicando ulteriormente la credibilità dell’intera categoria. Chi pensa che il clamore del caso Sallusti possa evitare il carcere ai giornalisti nella prossima legge bavaglio sulle intercettazioni, sbaglia. Il centrodestra si guarda bene dal barattare la libertà di diffamare (senza carcere) con il diritto professionale, pubblicando le intercettazioni (al netto dei gossip), di informare. Non tutti l’hanno capito, dentro la nostra disastrata categoria. Che da oggi tutti avranno il diritto di considerare una casta, né più né meno di quella che ogni giorno raccontiamo giustamente con severità e ironia.

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