Sull’inceneritore di Parma non è ancora detta l’ultima parola. Dopo il rigetto della richiesta di sequestro preventivo del cantiere, la Procura non si arrende e oggi ha presentato appello al tribunale di Parma contro il provvedimento del gip Maria Cristina Sarli. Ora sarà un collegio di giudici ad esprimersi sul caso in un’udienza che verrà fissata nei prossimi giorni.
Il gip ha in parte accolto le ipotesi di reato di abuso d’ufficio, respingendo invece quelle di abuso edilizio. Ma per la Procura lo stop preventivo al cantiere ci deve essere.

Secondo il giudice Sarli i reati di abuso d’ufficio in merito all’affidamento diretto dell’appalto ad Amps (oggi Iren) per il servizio di gestione rifiuti e a Hera per la realizzazione del Polo ambientale integrato sussistono, ma “l’illecito deve ritenersi già consumato e il sequestro dell’impianto e dell’area non servirebbe ad evitare il protrarsi o l’aggravarsi delle conseguenze dannose”. Invece nel documento di appello, depositato questa mattina dal procuratore capo Gerardo Laguardia, “si chiede che il tribunale riveda tale giudizio, posto che l’opera è ancora in fase di costruzione”. Parte dei reati riguardano infatti il completamento del termovalorizzatore (e quindi impianti tecnologici e non edilizi), che vengono montati nella fase finale, “per cui non sembra corretto affermare che con il sequestro non si impedirebbe che gli effetti del reato vengano portati ad ulteriore conseguenza”.

Per quanto riguarda l’abuso edilizio e quindi il mancato permesso a costruire, il gip Sarli ha dichiarato la non sussistenza del reato, considerando che l’autorizzazione ai lavori sia contenuta nell’approvazione della Via (Valutazione d’Impatto Ambientale). Conclusione a cui si oppone la Procura, che ritiene impossibile che “la Via deliberata dalla giunta provinciale il 15 ottobre 2008 possa comprendere automaticamente il permesso di costruire, posto che il progetto esecutivo è stato presentato successivamente, il 18 gennaio 2010”. A confermarlo la stessa Enìa (Iren), che otto mesi dopo la Via, “scriveva alla Provincia e al Comune di Parma che l’inizio dei lavori sarebbe stato preceduto dall’acquisizione del permesso di costruzione. Dando per scontato che il permesso non poteva essere stato rilasciato nella procedura di Via”. Secondo la Procura in definitiva l’inceneritore è stato costruito senza autorizzazione del Comune: “Né il gip né il Tar – si legge ancora nelle motivazioni – ha valutato che il permesso di costruzione deve avere una data certa”.

La valutazione del gip Sarli sposa la sentenza del Tar (passata in giudicato perché il commissario Mario Ciclosi non l’aveva impugnata), che lo scorso gennaio aveva dato ragione alla multiutility. Il Comune in quel caso aveva fatto elaborare dagli avvocati due differenti versioni di memoria difensiva a distanza di un giorno, presentando in via definitiva quella più stringata e più debole perché privata di passaggi sulle irregolarità riguardanti l’impianto. Un altro dettaglio su cui indagano gli inquirenti.

All’abuso edilizio, che per il gip non sussiste, sono collegati poi per l’accusa anche altri fatti, come il mancato versamento di oneri di costruzione da parte di Iren. Si contesta a questo proposito anche l’accordo tra privati stipulato dal Comune con Iren, in cui si definisce l’inceneritore “opera pubblica”, con il conseguente esonero del versamento degli oneri di costruzione (pari a 420mila euro), ritenuto dal gip “un errore di interpretazione” e che invece, secondo la Procura, violerebbe la legge. L’accusa si concentra anche sui pagamenti effettuati da Iren (soggetto controllato) al Comune e alla Provincia (controllori) per le attività di monitoraggio del Polo ambientale integrato: il gip li definisce “atti atipici”, ma per essersi intascato qui soldi, ricorda l’accusa, l’ex dirigente del Servizio ambiente del Comune, Emanuele Moruzzi, è indagato per peculato, tanto che la Procura ha disposto il sequestro dei suoi beni.

Il procuratore Laguardia infine rinnova la richiesta di sequestro del cantiere, che eviterebbe l’aggravarsi del reato, in quanto “il trattamento dei rifiuti con l’inceneritore rappresenta esattamente il momento di realizzazione del maggiore profitto legato all’illecito affidamento diretto del servizio gestione rifiuti”.

Per Pizzarotti e i suoi, che avevano promesso in campagna elettorale di bloccare l’impianto, si riaccende dunque la speranza che prima o poi i lavori a Ugozzolo si fermino, mentre prosegue l’indagine che al momento vede nel mirino tredici persone tra vertici di Iren, Comune e Provincia. Ma la questione non è semplice e il tempo stringe. Entro fine anno Iren prevede di accendere il forno ed è convinta a proseguire la sua battaglia contro il Comune, a cui ha chiesto 28 milioni di euro di danni per lo stop al cantiere imposto dall’ex sindaco Pietro Vignali nel 2011. Come se non bastasse, c’è chi avanza dubbi sull’effettiva riuscita del fronte no termo e anche sulle eventuali conseguenze di una vittoria sulla multiutility.

I sindaci di cinque comuni del parmense (Collecchio, Fidenza, Fontevivo, Noceto e Monchio) hanno espresso preoccupazione, nel caso i Cinque stelle riescano a bloccare l’inceneritore, per lo smaltimento rifiuti a partire dal primo gennaio 2013, visto che era programmato in funzione dell’impianto. I sindacati Cgil e Cisl hanno invece puntato il dito sulla scarsa efficacia del metodo con cui l’amministrazione comunale di Parma e il gruppo Iren stanno affrontando la questione del futuro del ciclo integrato dei rifiuti in città e chiedono soluzioni condivise. Qualunque sia la decisione del collegio di giudici sull’appello di Laguardia, la soluzione al problema rifiuti per la giunta Cinque stelle non sarà una passeggiata.  

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