Tra le qualità di Monti non c’è l’imprevedibilità. L’avevano capito pure i sassi che l’uomo non avrebbe mollato Palazzo Chigi e si sarebbe ricandidato per un altro giro di valzer, magari fino al 2018. Solo che per distinguersi dalla politica tradizionale, sempre così volgare nelle sue pretese, il professore l’ha tecnicamente tirata per lunghe. Prima assicurando i colleghi della Bocconi che lì sarebbe ritornato presto come un Cincinnato all’amato podere. Poi è cominciato il lungo tira e molla dei resto o non resto culminato nel pudico annuncio di ieri: “Se serve, torno”.

Monti ci fa sapere che come senatore a vita non ha bisogno di candidarsi alle elezioni e che per l’emergenza finanziaria ci sarà ancora molto bisogno della sua credibilità presso l’Europa. Del resto, il programma del prossimo governo esiste già ed è l’Agenda Monti che i partiti, volenti o nolenti, dovranno digerire con lacrime e sangue incorporate. A fare buona guardia ci penserà il presidente Napolitano che ha già fissato un altro punto programmatico per il nuovo Parlamento: l’amnistia e l’indulto. Non risolverà la barbarie delle carceri sovraffollate come invece la depenalizzazione dei reati minori potrebbe fare. E c’è il rischio che i tanti corrotti e corruttori che spolpano il Paese lo prendano come un segnale d’impunità.

Il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2012

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