A Roma si dice che uno è “de coccio”; significa che gliela puoi spiegare in 100 modi; che può trovarselo scritto in 100 libri; ma lui della sua idea resta.

Così sta succedendo per il ministro Clini. Il problema sempre quello è: il governo è una cosa e la magistratura un’altra. Ognuno ha le sue competenze. Clini deve controllare che l’ambiente venga rispettato ed emanare gli opportuni decreti e autorizzazioni perché chi svolge un’attività che potrebbe danneggiarlo adotti le misure necessarie per tutelarlo.

La magistratura deve verificare che decreti e autorizzazioni siano rispettati e che l’ambiente non sia avvelenato; se necessario deve processare i responsabili. Inoltre, se non si tratta di un singolo episodio, ma di una situazione stabile con conseguenze dannose perduranti, deve sequestrare l’oggetto che avvelena l’ambiente: così, da quel momento in avanti, l’avvelenamento cessa. Detta così sembra semplice ma, evidentemente, per C&C non lo è.

Provo con un esempio. Il proprietario di un palazzo pericolante lo affitta a immigrati con profitti eccezionali. Il comune si accorge del pericolo (cadono pezzi di muratura sulla strada) e gli ordina di restaurarlo. Lui dice va bene, lo farò; però non fa niente, salvo continuare a riscuotere ogni mese 500 euro da ogni immigrato che, ovviamente, continua ad abitare lì. La procura se ne accorge, magari un immigrato è caduto da un balcone che è crollato, e sequestra il palazzo buttando fuori tutti gli immigrati che, continuando a restare lì, correrebbero rischi gravissimi. Il proprietario, non percepisce più 500 euro X… A questo punto può solo fare due cose: spende soldi per ristrutturare il palazzo, poi chiede il dissequestro e ricomincia ad affittarlo (magari a 700 euro per uno); oppure lo lascia andare in rovina perché non ha i soldi o non li vuole spendere. Nessun sindaco che si trovi con un centinaio di immigrati per strada dall’oggi al domani, penserebbe di protestare con la magistratura perché ha sequestrato il palazzo. Anzi protesterebbe con il proprietario perché si disinteressa del degrado e della sicurezza pubblica.

C&C invece protestano con la magistratura e dicono che solo loro posso concedere a Ilva le autorizzazioni per riprendere l’attività (mai del tutto smessa). Il che è verissimo e la magistratura non lo nega. Resta il fatto che se, nonostante autorizzazioni di Clini megafantastiche, anticipatrici di norme europee che saranno in vigore nel 3143, permane lo stato di avvelenamento diffuso perché le prescrizioni in esse contenute non sono adottate, il sequestro rimane e la produzione non parte. Suggerisco una soluzione per uscire (C&C, la magistratura se ne può stare tranquilla) da questa impasse: C&C si scrivono una legge in cui dicono che, in presenza di formale promessa da parte di Ilva di adottare le misure prescritte con l’Aia (magari gli fissano pure un limite di tempo), la produzione può riprendere subito anche se l’avvelenamento di Taranto continua.

Assassini legali, legge incostituzionale che più non si può, figuraccia (all’estero, da noi sindacati e politici gli leccherebbero le mani per il sollievo); ma Ilva riparte il giorno dopo. Certo, poi magari il termine spira e, come è successo per i progetti presentati nel 2004, ripresentati oggi e mai attuati, anche le prescrizioni Aia resteranno sulla carta. E che problema c’è? Fanno una legge nuova.

Il Fatto Quotidiano, 28 Settembre 2012

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