Per i falegnami della politica non c’è crisi che tenga. Anche se hanno sempre fabbricato poco, hanno promesso parecchio. Tavoli, soprattutto. Per poi spiattellare scelte partorite ben prima. Come si dice, fatte a tavolino. Nell’Italia dei tavoli, si fanno un po’ per tutto: per la ciclabilità, la faunistica, “l’altraeconomia”, la semplificazione, i viticoltori. E per la sanità elettronica, per l’etica, per “l’appropriatezza in medicina”.

L’assessore alla Sanità della Lombardia Luciano Bresciani in questi giorni ne ha chiesto uno bello grande per “affrontare il tema del rapporto tra medici, istituzioni, mondo della giustizia e mondo assicurativo”, mentre la Confederazione italiana agricoltori ne vorrebbe aprire uno con le organizzazioni professionali sull’Imu agricola. Sì, la gabella c’è pure in aperta campagna e i polli che devono pagarla non stanno nell’aia. La soluzione è sempre quella: il tavolo. Che “deve rappresentare un momento di grande rilevanza”, “un messaggio”, “un simbolo”.

Anche il ministro Corrado (Geppetto) Passera è pronto “ad aprire un tavolo al Governo” (quale posto migliore, le sedie non mancano) su Linate e Malpensa. L’ha anticipato l’assessore del Comune di Milano Bruno Tabacci che ha sottolineato – e come dargli torto – che gli aeroporti hanno bisogno di un piano di rilancio per spiccare il volo. Ma la politica d’alta quota non va di moda. Non quando i tavoli, spesso trasformati in banchetti imbanditi che non servono a sfamare i cittadini. Così, mentre la Cisl Lombardia sollecita “l’apertura di un tavolo regionale sulla competitività, a sostegno del confronto in corso a livello nazionale”, l’assessore alle Politiche per lo Sviluppo economico di Milano Cristina Tajani, dopo aver incontrato una delegazione di lavoratori della Nokia Siemens, ha chiamato in causa il ministero per risolvere la questione una volta per tutte. Con l’ennesimo “tavolo di confronto sul comparto delle telecomunicazioni”. Tutti li vogliono, tutti li chiedono.

Perfino Sel e Idv in Regione Sardegna ne bramano uno sui  “temi della vertenza Sardegna”. “Una mobilitazione – hanno detto – finalizzata all’apertura di un tavolo negoziale con il Governo (…) Che sarebbe meglio si aprisse a Cagliari”. Partendo dall’Alcoa come “simbolo della volontà dei lavoratori di difendere e sviluppare una industria manifatturiera ecosostenibile”. Ecco, il “simbolo”, la panacea. Che il più delle volte nasconde l’impotenza politica, punto e basta. La penso così, con rare eccezioni. Talmente saltuarie che nemmeno le ricordo. Ma quando mi rimbalzano davanti decine di annunci e proclami sull’apertura di tavoli su tavoli mi irrito. Mi infastidiscono le facce compiaciute di chi crede di aver comunicato di “aver fatto qualcosa”. E m’immagino le sedie, tante sedie. Perché attorno a un tavolo non si sta mica in piedi. Politici, esperti e consulenti lo sanno: c’è posto per tutti. Nel Paese dei tavoli una poltrona si trova sempre.

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