Non aprite quella porta. Padroni di casa, fatica seconda del livornese trapiantato a Bologna, Edoardo Gabbriellini, in anteprima nazionale proprio nel capoluogo emiliano grazie a Biografilm, è tutto fuorché il melodramma che t’aspettavi. Nulla di struggente e malinconico quindi, ma tutta suspense e violenza ancestrale.

Tanto che alla classicità cinematografica italiana, fatta di pianto o di risate, si sostituisce l’idea di un thriller/horror orientato sull’abisso oscuro della natura modello statunitense, girato con grande abilità mimetica sull’Appennino tosco-emiliano nell’estate del 2011 con un cast all star: Valerio Mastandrea, Elio Germano, Valeria Bruni Tedeschi e Gianni Morandi.

Quest’ultimo vero e proprio one man show nel presentare a Bologna il film (in Concorso un mese e mezzo fa al Festival di Locarno, n.d.r.) indossando giacca, pantaloni e scarpe da tennis. Ancor più casual il regista Gabbriellini, 37 anni, protagonista memorabile di Ovosodo (1997) e autore di un incompreso B.B e il Cormorano (2003) con Selen, che affronta fotografi e occhi femminili ben puntati con una slargata t-shirt.

Stupisce ancor di più Padroni di casa. Film dalla trama apparentemente semplice che diventa un crescendo di cinismo e morte che nemmeno un film di Lars Von Trier. Così i due soci piastrellisti romani (Mastandrea e Germano) giunti in un paesino appenninico per risistemare il pavimento del terrazzo nel villone del cantante Fausto Mieli (Morandi), si ritrovano nel classico plot dell’estraneo che disturba l’equilibrio di un luogo isolato e rimane vittima del respingimento del potenziale pericolo.

Cane di paglia? Senza dubbio alcuno, soprattutto per la rozzezza dei villani. Un tranquillo week-end di paura? Sicuramente per l’uso della natura circostante. Insomma: questi due romani non possono di certo mettersi in mezzo al ritorno dopo dieci anni sulle scene di Mieli, e ancor di più non possono rubare la donna più carina del luogo o sfidare a chi è il più forte i bulletti e gli scoppiati del paesello.

“Non ho voluto rappresentare la provincia come nido di vipere – ha spiegato Gabriellini – L’idea della storia è nata prima della scelta dell’ambiente. In questo caso la provincia è un “ovunque”, quello che succede poteva capitare anche nel condominio di casa mia. Il film vuole essere una riflessione sulla violenza e sulla fragilità che la ingenera. A volte basta un minimo scarto a stravolgere una quotidianità. L’ambientazione sull’Appennino l’ho scelta per la suggestione forte del suo paesaggio, come se la natura guardasse immota, senza esserne toccata, questo teatro di fragilità”.

“Il mio personaggio è talmente lontano dalle mia corde, che mi chiedo se sono stato in grado di affrontarlo – ha affermato Morandi – Fra l’altro è dal 1970, dal tempo di Le castagne sono buone di Germi, che non faccio praticamente cinema. Ho esitato un po’ prima di accettare, però mi piaceva l’idea di sperimentarmi qualcosa di diverso: è un ruolo impegnativo, un uomo che sorride sempre, ma poi diventa cinico, disperato, cattivo”.

Un plauso anche a Cesare Cremonini inatteso compositore dei brani fasulli di Mieli/Morandi che hanno la straordinaria leggerezza dello scimmiottamento del repertorio morandiano e non rimangono in testa nemmeno un secondo nonostante il concertone con migliaia di persone che accompagna la conclusione del film. Tra l’altro sul palco di Montepiano, dove si svolge il live, grazie a youtube possiamo ascoltare le straordinarie performance che Morandi, assieme ai Ridillo, ha regalato alle migliaia di comparse rimaste sotto il sole per ore: con un Andavo a cento all’ora davvero da brividi.

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