L’Italia ha scelto il film da candidare agli Oscar. E’ Cesare deve morire dei fratelli Taviani. Ancora una volta una scelta a perdere, dunque, per una cinematografia nazionale che pare non abbia più molto da dire. Basti pensare che si è scelto di candidare alla statuetta il film di due registi che, insieme, hanno 164 anni, in totale controtendenza rispetto alle ultime tredici edizioni degli Oscar (dal 2000 a oggi) che hanno visto sempre premiati, eccetto una volta, film di registi “giovani”.

2012: Una separazione di Asghar Farhadi (40 anni)
2011: In un mondo migliore di Susanne Bier (51 anni)
2010: Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella (51 anni)
2009: Departures di Yōjirō Takita (54 anni)
2008: Il falsario di Stefan Ruzowitzky (47 anni)
2007: Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck (34 anni) 
2006: Il suo nome è Tsotsi di Gavin Hood (43 anni)
2005: Mare dentro di Alejandro Amenabar (33 anni)
2004: Le invasioni barbariche di Denys Arcand (63 anni, il più “vecchio”)
2003: Nowhere in Africa di Caroline Link (39 anni)
2002: No Man’s Land di Denis Tanovic (34 anni)
2001: La Tigre e il Dragone di Ang Lee (47 anni)
2000: Tutto su mia madre di Pedro Almodovar (51 anni) 

Detto questo, riusciamo a cominciare un dibattito serio sul cinema italiano? Non solo sulla qualità, però. Ma anche, e forse soprattutto, sul sistema che lo governa e sui criteri discutibili con cui viene selezionato ogni anno il film che ci rappresenterà agli Academy Awards. Visto che giochiamo sempre a perdere, chiediamoci perché e agiamo di conseguenza.

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