Disoccupati, imprenditori, esodati. Sono queste le categorie più esposte all’impatto della crisi economica e, di conseguenza, in crescente rischio di suicidio. A sostenerlo è l’Istituto Eures, che nella sua ultima indagine “Il suicidio in Italia al tempo della crisi” mette in evidenza la connessione tra crisi economica e tasso suicidario nel nostro paese. Nell’ampio quadro dei dati forniti emerge la particolare vulnerabilità delle categorie colpite dalla crisi del credito e del lavoro. “Considerando l’indice di rischio specifico, ovvero il numero di suicidi ogni 100mila abitanti nella medesima condizione”, si legge nella sintesi dello studio diretto da Fabio Piacenti, presidente dell’Eures, “sono i disoccupati a presentare l’indice più alto (17.2), seguiti da imprenditori e liberi professionisti (10)”. A questi ultimi seguono, con notevole scarto, i lavoratori in proprio (5.6) e gli inattivi, ovvero studenti, casalinghe e pensionati (4.8). Chiudono la graduatoria i lavoratori dipendenti (4,5 su 100mila), meno soggetti alle fluttuazioni del mercato, sottolineando ulteriormente la correlazione tra condizione occupazionale e rischio suicidario.



 Emblematica anche l’osservazione dell’aumento di suicidi nella fascia 45-64 anni (+16.8% dal 2008 al 2010), età che include gli esodati, il cui numero ufficiale è ancora incerto. Ma lo scenario, almeno dal punto di vista dei dati, non è del tutto lineare. Lo stesso Eures ammette che “la spiegazione del suicidio è un obiettivo complesso, legato alla presenza di diverse concause”. E il ‘suicidio economico’ non è che un tassello di un ampio mosaico: nel quinquennio 2006-2010, tra i moventi ‘noti’ al primo posto appare la malattia (74.8%), seguita dai motivi affettivi (16.3%), quindi i motivi economici (8.1%) e d’onore (0.8%). E se è vero che dal 2007 al 2010 in termini assoluti suicidi sono aumentati (+58,7%), è anche vero che nel 2003 se ne registravano più del 2010, e nel 1995 ancora di più. Occorre cautela, quindi.

A complicare la lettura c’è poi il contesto europeo, nel quale l’Italia si posiziona in fondo alla graduatoria con 4.9 suicidi ogni 100mila abitanti, non solo dietro a Paesi Baltici e Scandinavia, ma anche sotto Germania, Francia e Svizzera. A contare meno suicidi di noi, paradossalmente, soltanto la Grecia, martoriata dalla crisi. E i media, in tutto ciò? Le notizie che riprendono i ‘suicidi per la crisi’ comparsi nella stampa online nei primi sei mesi del 2012 sono più di 120. Il Fatto Quotidiano le ha tracciate attraverso Google News’ e raccolto il risultato sottoforma di due visualizzazioni interattive: una mappa e una timeline.

Se sulla stampa tra il 2006 e 2010 si trovano poche tracce dei 1.164 disoccupati che si sono tolti la vita, negli ultimi mesi l’attenzione dei media è aumentata vertiginosamente. Un boom di articoli che non evita di suscitare polemiche. “Studi epidemiologici internazionali dimostrano con certezza che le notizie dei suicidi da crisi economica”, spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli, “se presentate in modo sensazionalistico inducono altri suicidi, innescando un pericoloso effetto domino”. Ma se il cosiddetto ‘Effetto Werther’ preoccupa gli accademici, reazioni opposte provengono dal Comitato piccoli imprenditori invisibili, onlus per la difesa della piccola imprenditoria colpita dalla crisi che il 9 marzo ha organizzato tre fiaccolate in ricordo delle vittime. Giuseppina Virgili, fondatrice del Copii e imprenditrice che nel 2009 aveva messo in vendita reni e cuore per salvare la sua azienda, lamenta l’incompletezza di stampa e dati ufficiali. “Per noi è essenziale che del problema si parli il più possibile”, afferma Virgili, che ricorda i “casi rimasti inconsiderati perché associati a problemi di salute o di famiglia, quando questi ultimi erano causati direttamente dalla crisi economica”. Storie che, per la Virgili, sfuggono al conteggio della stampa.

@jackottaviani

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