Sabato pomeriggio a Genova, palazzo Ducale, il salotto buono di una città come tante in preda alla crisi, non solo economica.

Da quattro anni, nel cortile, dopo una lettera sulla violenza contro le donne che scrissi e condivisi con altre femministe, ogni settembre per alcune ore la rivista Marea con i gruppi Archinaute e Atelier mettono in scena letture, canti, danze, performance, interventi culturali e politici in una serrata regia che mescola parole e corpo per dire che si può sconfiggere l’indifferenza contro la violenza maschile, e lo si può fare insieme, anche con la bellezza delle varie arti e dei talenti collettivi e personali.

Verso le 16 tocca ad un gruppo di danza della Uisp che inscena un voluttuoso e delizioso ballo in stile Bollywood, e siamo tutte lì che guardiamo le artiste quando arriva un vigile urbano in alta uniforme che spegne l’interruttore della musica. Motivo: sta passando la processione e ci vogliono 10 minuti di stop affinchè la messa celebrata dal porporato non venga disturbata. Poi si potrà riprendere, per carità, appena finito il passaggio del corteo, ma intanto silenzio.

Siamo basite, il luogo dove siamo è lontano dalla strada e racchiuso in un cortile con le spesse mura del palazzo Ducale; ci sono oltre ottanta persone tra quelle sedute e quelle in piedi, intervenute ad una iniziativa pubblica programmata da molti mesi, alla quale sta partecipando anche l’assessora del comune alle Pari Opportunità. Forse la sua presenza non basta: magari se al suo posto ci fosse stato il sindaco le cose sarebbero andate diversamente, e i vigili e alcuni zelanti rappresentanti della finanza non sarebbero intervenuti così tempestivamente, viene maliziosamente da pensare.

Mentre si svolgeva una piccola discussione tra le forze dell’ordine, l’assessora e alcune di noi, un finanziere dalla elegantissima uniforme mi ha spiegato che la musica disturbava la messa, cosa erano pochi minuti di rispettoso silenzio?

Ho provato ad obiettare che nel caso contrario (scampanellio delle chiese in ogni parte del paese compreso) nessuno si sarebbe sognato di chiedere che la processione si zittisse o che, appunto, alle campane venisse messo il silenziatore.

Niente da fare: anche se si parla la stessa lingua non è detto che ci si riesca a capire, mica per nulla Michel Foucault ci ha scritto un testo epocale come Le parole e le cose. Meno male che dopo i 10 minuti, tu guarda le coincidenze, l’esibizione in programma con la quale abbiamo ripreso si chiamava Alleluia.

Chissà se il vescovo di Genova si ricorda la storia (vera e molto ligure) cantata da De Andrè : il parroco del paesino di Sant’Ilario “con la vergine in prima file e Bocca di rosa poco lontano portava a spasso per il paese l’amore sacro e l’amor profano”.

Ma quella era un’altra processione.

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