Ma ci pensate che la scelta del futuro presidente degli Stati Uniti dipenderà da un’intercettazione? Ambientale, non telefonica; ma non c’è differenza. Romney, parlando ad amici suoi, in ambiente assolutamente privato, sicuro di godere della massima riservatezza, esprime liberamente il suo pensiero: degli ultimi della terra non gliene importa niente; quando sarà presidente non sprecherà risorse per loro; la sua politica favorirà i ricchi e i potenti. La conversazione è registrata da un amico non proprio amico e finisce sui giornali. E oggi tutti sanno che tipo è questo Romney; e, speriamolo almeno, molti non lo voteranno. Anche se quello che è successo da noi con uno che gli somiglia tanto tanto non autorizza l’ottimismo. Il fatto stimola alcune riflessioni. Eccole.

1. Quello che hanno fatto a Romney in Italia è un reato: artt. 167, 23 e 5 Dlgs 196/2003. È una cosa un po’ complicata perché scrivere una legge chiara, precisa e compendiosa sembra al di là delle capacità dei nostri parlamentari. In soldoni, non è reato registrare conversazioni tra privati, ma è reato diffonderle senza il consenso dei registrati. La pena: da 6 mesi a 2 anni.

2. Per quanto mi riguarda accetterei volentieri una condanna (anche perché sarebbe coperta dalla sospensione condizionale della pena e non farei nemmeno un giorno di galera) pur di far conoscere ai miei concittadini che razza di uomo (e di politico) è quello che si candida a diventare loro (e mio) presidente.

3. Ne consegue che una fuga di notizie come questa è cosa assolutamente buona e giusta. Soprattutto perché in una conversazione privata le cose che si dicono restituiscono un’immagine del tutto genuina di colui che le dice; sia che corrispondano ai suoi convincimenti sia che siano raccontate per ragioni di opportunità. Questo è il pregio (e il difetto, dipende dai punti di vista) delle intercettazioni: non c’è trucco e non c’è inganno, vere o no che siano, quelle cose sono state dette.

4. Le opinioni esposte da Romney sono perfettamente lecite. Fanno un po’ ribrezzo, ma non costituiscono reato. Insomma, per dirla con i tanti politici nostrani che si sono trovati nella stessa situazione, sono penalmente irrilevanti. Qualcuno vuole provare a sostenere che questa conversazione non doveva essere diffusa perché penalmente irrilevante? Che gli americani non hanno il diritto di conoscere la persona che chiede i loro voti? Che debbono votare sulla base delle rutilanti convention, delle performance di attori e cantanti, dei discorsi scritti da uno staff di specialisti e ripetuti con la sola aggiunta di movenze ed espressioni studiate da altro staff di specialisti?

5. Qualcuno certamente lo sosterrà; e i più avveduti faranno leva sul fatto che aver diffuso le conversazioni di Romney con i suoi finanziatori costituisce reato. Ohibò, non si fa! Il che, detto dai delinquenti che infestano la nostra classe politica e dai loro colleghi che sanno, tacciono e votano contro le richieste di arresto ovvero si astengono dal votare, fa ridere. Anzi vomitare.

6. Situazioni analoghe a quella che ha avuto Romney come protagonista ce ne sono state anche in Italia. E anche peggio, nel senso di intercettazioni che non solo avevano il merito di denudare il re e far vedere a tutti che meschinello era ma costituivano prova di reati. Con una differenza: si trattava di intercettazioni legali, disposte dalla magistratura secondo la procedura e in base ai presupposti previsti dalla legge. Eppure i nostri re nudi e i loro amici hanno strepitato che non dovevano essere pubblicate, che violavano la loro privacy, che i processi fatti sulla stampa erano una barbarie. Cioè era una barbarie che i cittadini conoscessero, senza filtri e ipocrisie, come erano davvero quelli che gli chiedevano i voti. Siamo arrivati a una proposta di legge che vieta la pubblicazione di conversazioni non penalmente rilevanti; che giace ancora in Parlamento perché il Pdl la giudica troppo blanda. Insomma, se Romney o i suoi tanti fratellini nostrani fossero stati legalmente intercettati e le loro deliranti ideologie fossero venute a conoscenza di qualche bravo giornalista, secondo la legge in gestazione non dovrebbero essere pubblicate. Della serie: ciò che conta è quello che appare, non quello che si è.

7. L’ultimo frutto dell’albero avvelenato è maturato proprio qui, in Italia. E dove se no? Le intercettazioni di conversazioni riguardanti il re (che evidentemente ha una paura terribile della propria nudità) non devono essere conosciute nemmeno dai giudici a cui la legge attribuisce il compito di valutare se sono penalmente irrilevanti; o se magari invece possono servire a provare reati ovvero colpevolezza o innocenza di imputati. Distruzione subito, ché nessuno possa conoscerlo per quello che è. Il che, per il momento, è in effetti impossibile. Ma resta il fatto che Andreotti aveva proprio ragione. E a pensar male, in questo caso, nemmeno si fa peccato; anzi ci si coglie di sicuro. Come ci si può fidare di un uomo che ha qualcosa da nascondere?

Il Fatto Quotidiano, 22 settembre 2012

Articolo Precedente

Riesame Napoli non annulla ordine cattura di Milanese: “Ha ancora ruolo politico”

next
Articolo Successivo

Trattativa, Ingroia: “Non ci aspettavamo il conflitto con il Colle”

next