Mi ha fatto sorridere leggere di “poverivoi” una ONG africana “che porta aiuti umanitari all’Italia”, un progetto di comunicazione provocatorio in realtà, per il quale all’italiano è offerta la possibilità di essere adottato da un villaggio africano per guarire dai mali della nostra civiltà.

Facciamo un passo indietro. Se ne parla ormai da anni. C’è tutto un mondo, quello delle ONG, delle organizzazioni internazionali, dell’umanitario, della cooperazione allo sviluppo, che è fortemente problematico, deregolato, a volte contraddittorio. Solo alcuni dei problemi: il fallimento delle politiche di aggiustamento strutturale e di numerosi programmi/progetti di sviluppo – che in alcuni casi hanno portato a vere e proprie conseguenze negative, il loro inestricabile legame con le eredità coloniali, il lassismo, la corruzione, l’inefficienza, il mancato rispetto della cultura e dei contesti locali, l’ambiguità dell’aiuto umanitario in contesti d’emergenza e i suoi paradossi, la strumentalizzazione mediatica e talora anche militare degli interventi umanitari – bisognerebbe domandarsi perché si è intervenuti in Libia e non in Darfur o in Rwanda nel 1994…Soprattutto l’aiuto “calato dall’alto” dei programmi di sviluppo, senza indugiare nei casi paradossali per i quali alcuni sacchi di cibo gettati da certi elicotteri erano tragicamente simili a mine antiuomo, successivamente scambiate da bambini per sacchi di cibo, appunto…

Ma insomma, anche se ognuno di questi problemi meriterebbe un libro, ed anche se andrebbero effettuate delle distinzioni tra cooperazione, sviluppo, emergenza, e le impostazioni delle diverse ONG, vorrei riportare l’attenzione su quello che ritengo sia un grosso problema di questo mondo, un problema di ordine culturale, quello dell’assistenzialismo. Un problema che purtroppo non affligge soltanto ONG cristiane e che reclutano volontari – e non professionisti come è per le ONG più autorevoli. Un problema che essendo di ordine culturale, si annida a volte anche nell’animo del più professionale degli operatori della ONG più laica.

Il problema cui alludo ha forse il suoi antenato nelle missioni cristiane, quando con una mano si colonizzava e con l’altra si convertiva, si riportavano i “buoni selvaggi all’ovile”. Chi “aiuta” si eleva dall’ umano al “divino” per operare l’ aiuto sui fratelli da assistere, fratelli di cui è in realtà “padre”. Assistenzialismo, paternalismo e altri atteggiamenti neocoloniali. Rendere l’ altro dipendente dagli aiuti e incapace di provvedere da sé, un’umanità dolente la loro, un quasi divino disumanizzato quello degli operatori, spesso rappresentati come degli angeli. Chi è iperprotettivo nei confronti dei beneficiari dei progetti è spesso una persona che non reputa i beneficiari in grado di cavarsela da soli. La sua percezione di potere aumenta a mano a mano che aumenta quella di sentirsi necessario per queste “povere” persone.

Partire per sentirsi un po’ eroi, quante aberrazioni – di cui pagano spesso le conseguenze i presunti beneficiari dei progetti – provengono da questa inconscia postura. Eroi che a casa magari sono dei signor nessuno e che hanno il terrore di mettersi in discussione. Mi ricordo un ragazzino in Rwanda che gonfiava e sporgeva la pancia e sbatteva le palpebre non appena adocchiava il bianco, per suscitarne la commozione. Ricordo un’ operatrice, che piuttosto che fornire ai beneficiari gli strumenti per cavarsela, si faceva carico di tutti i loro problemi, diventando una sorta di mamma generalizzata, dando il suo numero di cellulare per qualsiasi problema a chiunque, ricevendo telefonate anche nel cuore della notte. Instaurare questo tipo di rapporti significa non reputare l’altro degno di farcela da solo, significa volersi sentire egoisticamente necessari, significa non ritenere l’altro in grado di avere un rapporto umanamente alla pari.

Ma insomma, siamo sicuri che certi personaggi in certi paesi non rappresentino l’ennesimo flagello? Piuttosto allora, che si parta per essere “aiutati” e “adottati”.

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

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