Un caso di demenza ogni quattro secondi nel mondo, con 7,7 milioni di nuovi pazienti l’anno. E’ come se ogni dodici mesi si ammalasse l’intera popolazione di una nazione come la Svizzera, o Israele. Le dimensioni del fenomeno sono quelle di una pandemia senza fine, considerando l’emergenza invecchiamento e i numeri del rischio: la probabilità di demenza riguarda un over 65 su 8, e addirittura un over 85 su 2,5. Ma ai dati drammatici comunicati in aprile dall’Oms, si aggiunge la piaga dello stigma emersa oggi dal Rapporto mondiale Alzheimer 2012: un quarto dei pazienti con demenza (24%) e un decimo dei familiari di una persona malata (11%) nascondono la diagnosi per la paura di essere discriminati. In generale, il 75% dei malati e il 64% dei familiari denunciano che lo stigma e l’esclusione sociale sono i principali ostacoli per le persone con demenza e per chi le assiste. Nel terzo millennio l’Alzheimer resta un tabù, insabbiato per vergogna.

Il Rapporto 2012. Il Rapporto 2012, dedicato al tema ‘Superare lo stigma della demenza, è stato diffuso oggi in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer dall’Adi (Alzheimer’s Disease International) e per il nostro Paese dalla Federazione Alzheimer Italia. Il documento si basa su un sondaggio che ha coinvolto 2.500 persone (malate e familiari) in oltre 50 nazioni. Poco più del 50% degli intervistati con demenza soffriva di malattia di Alzheimer, e poco meno della metà aveva meno di 65 anni. Il Rapporto svela dunque che il 24% delle persone con demenza e l’11% dei familiari ammettono di nascondere la diagnosi. Chi ha meno di 65 anni, in particolare, teme di dover affrontare problemi sul posto di lavoro o con la scuola dei figli. Il 40% dei pazienti dichiara inoltre di non essere coinvolto nella normale vita quotidiana e quasi il 60% dice di essere evitato dagli amici e anche dagli stessi familiari. Il 24% dei familiari percepisce sensazioni negative nei propri confronti, mentre il 28% ritiene di essere trattato in modo diverso o addirittura evitato. Sia i malati che i familiari ammettono di aver rinunciato a stringere relazioni sociali a causa delle difficoltà incontrate. Istruzione, informazione e sensibilizzazione sono priorità per ridurre lo stigma legato alla demenza. 

Oltre 35 milioni di malati. Secondo le ultime stime (2010), i malati di demenza sono 35,6 milioni nel mondo, con costi annuali calcolati in 604 miliardi di dollari e destinati a crescere insieme al numero di pazienti. Diffondendo in aprile gli ultimi dati Oms-Adi, Margaret Chan, direttore generale dell’agenzia dell’Onu per la sanità, ha esortato a “rendere i sistemi di assistenza sanitaria e sociale informati, sensibili e reattivi rispetto a questa incombente minaccia”. L’Oms, ha aggiunto Shekhar Saxena, direttore del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’ente ginevrino, “riconosce la dimensione e la complessità della sfida alle demenze ed esorta i Paesi ad inquadrare le demenze come una priorità di salute pubblica”. Infatti, “in questo momento, solo 8 dei 194 Stati membri dell’Oms hanno un Piano nazionale sulle demenze in atto”. Anche nel nostro Paese c’è ancora molto da fare, ha evidenziato Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia. Nella Penisola “si stima che le persone con demenza siano 1 milione, di cui 600 mila malate di Alzheimer”. Eppure “il nostro Paese non possiede ancora un Piano nazionale per le demenze, urgenza espressa e richiesta non solo dall’Oms ma dichiarata già 4 anni fa dal Parlamento europeo. Paesi vicini al nostro come Francia e Gran Bretagna hanno varato Piani nazionali, mentre in Italia non è stato fatto ancora nulla di tutto ciò e urge programmare iniziative concrete”.

Incubo sociale. La Federazione si mette quindi “a disposizione delle istituzioni, per contribuire a creare nel breve periodo una rete assistenziale (famiglie, medici, ricercatori, finanziatori, associazioni e comitati etici) intorno al malato, che va riconosciuto e trattato come individuo competente e razionale, non come un paziente senza memoria”. “Con il loro impatto devastante sulle persone affette da demenza, le loro famiglie, le loro comunità e i sistemi sanitari nazionali – ha ammonito Marc Wortmann, direttore esecutivo di Adi – le demenze rappresentano non solo un problema di salute pubblica, ma anche un incubo sociale, fiscale ed economico. I nostri attuali sistemi sanitari non possono far fronte all’esplosione della crisi delle demenze. Questo imminente disastro economico e del debito pubblico rappresenta una sfida sociale e sanitaria di prim’ordine”.

“Lo stigma – avverte Nicole Batsch, autrice del Rapporto 2012 – resta un ostacolo per tutte le iniziative relative alla demenza, quali migliorare l’assistenza e il sostegno alle persone con demenza e ai loro familiari e i finanziamenti alla ricerca. Portare alla luce questi problemi contribuirà a migliorare la qualità della vita delle persone affette da demenza e di chi le assiste”, aggiunge. “La persona con demenza – commenta Salvini Porro – porta addosso un’’etichettà, un foglietto illustrativo bianco, senza parole: lo stigma. L’uomo con la sua individualità, la sua storia e i suoi sentimenti non esiste più. Lo abbiamo letto su questo nuovo Rapporto ed è vero in tutto il mondo. Lo stigma non solo isola il malato e i suoi familiari lasciandoli completamente soli, ma non permette loro di usufruire dei mezzi che oggi abbiamo a disposizione per migliorarne la qualità di vita. Noi tutti dobbiamo combattere la disinformazione e cercare di comprendere e far comprendere che il malato è una persona esattamente come noi, con la sua dignità e questa dignità, oltre a dover essere rispettata, va tutelata”. Il Rapporto stila quindi 10 raccomandazioni a governi e società, per superare lo stigma: 1) Educare il pubblico; 2) Ridurre l’isolamento delle persone affette da demenza; 3) Dare voce alle persone con demenza; 4) Riconoscere i diritti delle persone affette da demenza e dei loro familiari; 5) Coinvolgere le persone con demenza nelle loro comunità locali; 6) Sostenere ed educare i carer familiari, volontari e professionali; 7) Migliorare la qualità dell’assistenza a domicilio e nelle case di cura; 8) Migliorare la formazione specifica dei medici di base; 9) Sollecitare i governi a creare piani nazionali Alzheimer; 10) Migliorare la ricerca su come affrontare lo stigma legato alla malattia.

Cura troppo difficile e costosa. Con l’invecchiamento della popolazione e il moltiplicarsi dei casi di demenza, l’Alzheimer sembrava un’opportunità d’investimento promettente per le aziende farmaceutiche. Ma ora i colossi del farmaco sembrano ripensarci: il fallimento di una serie di studi su candidati farmaci promettenti, rivelatisi inefficaci, ha portato molte aziende a giudicare la ricerca di una cura contro la demenza troppo difficile e costosa, come si legge in un’analisi pubblicata sull“Independent”. Almeno cinque studi negli ultimi cinque anni hanno prodotto risultati deludenti. Quest’anno un trial su Dimebon, sostenuto da Pfizer, non ha dimostrato alcun beneficio. Con qualcosa come 750 milioni di dollari di investimenti persi dall’azienda. A luglio poi bapineuzumab, sviluppato dall’irlandese Elan in collaborazione con Pfizer e Johnson & Johnson, non ha mostrato un impatto sui sintomi della malattia. Una delusione sperimentata ad agosto da Eli Lilly, che ha riferito il fallimento di solanezumab, il secondo farmaco anti-Alzheimer flop in due anni. Nel 2010, poi, i test su semagacestat hanno mostrato addirittura un peggioramento dei sintomi. Una serie di passi falsi che hanno dato un brutto colpo alla fiducia dei produttori di farmaci nel campo delle neuroscienze. Risultato? La recessione ha messo sotto pressione i produttori farmaceutici in tutto il mondo, ma le neuroscienze sono state colpite in modo massiccio, con AstraZeneca, Pfizer, Merck, Sanofi, Novartis e GlaxoSmithKline che ridimensionano i dipartimenti europei. Parlando in una conferenza organizzata nei giorni scorsi dallo Science Media Centre britannico, Eric Karran, direttore di ricerca di Alzheimer Research GB, ha sottolineato che “le neuroscienze sono un’area molto impegnativa.

Tutte le aziende stanno perdendo posti di lavoro, ma le neuroscienze hanno il più alto tasso di logoramento“. AstraZeneca – ha detto l’esperto – aveva un gruppo molto grande sulle neuroscienze, con circa 300 scienziati. Lo sta riducendo a un team di 40 persone, che fungerà da team virtuale: non farà ricerca, ma monitorerà gli sviluppi” nel settore “e creerà legami con altre aziende”. L’impressione dell’esperto è che le aziende non vogliano mollare quest’area di ricerca, ma siano costrette a fare i conti con l’irrequietezza dei loro azionisti, allarmati dagli ultimi passi falsi. Risultato? E’ stato speso almeno 12 volte di più per la ricerca sul cancro, mentre la demenza costa a un Paese come la Gran bretagna il doppio rispetto ai tumori, ha aggiunto Karran, sottolineando l’enorme bisogno insoddisfatto di un numero crescente di malati. Insomma, non è tempo di mollare il colpo.

Articolo Precedente

Tumore prostata, un pastore tedesco per “diagnosticare” il cancro

next
Articolo Successivo

Salute, tra le 4800 sostanze che respira chi fuma c’è anche un virus delle piante

next