2093, una squadra di scienziati a bordo dell’astronave Prometheus viaggia nello spazio per trovare risposta a domande fondamentali sulla vita. Sono i giovani archeologi Shaw (Noomi Rapace) e Holloway (Logan Marshall-Green) a condurre: lei crede nell’origine divina, lui nel darwinismo, entrambi concordano che alcune pitture rupestri di antiche civiltà dirigono la ricerca in un punto preciso dello spazio profondo. Finanziata da una corporation, la missione arriva a individuare su un pianeta remoto due umanoidi con Dna congruente al nostro, ma la scoperta ha un prezzo altissimo: la battaglia per salvaguardare il genere umano sta per iniziare…

Quante domande sull’origine della razza umana, e quante poche risposte. Fosse questo – o solo questo – il problema, Prometheus ancora se la caverebbe, ma l’ambizione non si fa azione, la verbosità non “spiega”, la noia incombe. Ideazione tormentata, Ridley Scott aveva in mente il prequel di Alien, poi ha virato su una nuova mitologia, con una squadra di esploratori alle prese con la domanda: “Da dove veniamo?”. A sua volta, Mr. Scott s’è chiesto: “Quanto possiamo essere originali?”.

Non troppo, diremmo, e la sensazione è strana: effetti poco speciali, diffusa seriosità e, anziché un Alien per papà, una fecondazione assistita da Battlestar Galactica, gli sci-fi Hammer e un simil-camp – si veda l’androide decollato, che fa tanto Alien… – fuori tempo massimo.

L’emozione prevalente è la tristezza o, se volete, la consapevolezza dell’infinitesimale umano di fronte all’Universo: nulla stringe, comunque. Si parte dal conato di vomito di un umanoide – siamo sulla Terra? – che darà vita a una struttura cellulare, poi un fantasmagorico salto spazio-temporale ci porta nel 2093 sull’astronave Prometheus in rotta verso un mondo lontano lontano, dove l’uomo potrebbe aver avuto origine. Delusione, non c’è segno di vita, l’atmosfera è irrespirabile, ma delle linee rette portano a una piramide, e due umanoidi alieni ivi reclusi…

Ma chi sono i nostri? Elizabeth Shaw (Rapace, donna forte à la Sigourney Weaver) ha una croce al collo e fa taglia e cuci, David (Michael Fassbender) è un androide che tutto può, compreso scimmiottare l’HAL 9000 del kubrickiano 2001, Meredith Vickers (Charlize Theron, tosta pure lei) rappresenta la corporation che finanzia Prometheus. Mentre l’horror fa capolino, la domanda cambia soggetto: “Da dove vengono?”, si chiede Elizabeth. Prometheus non risponde, è un adventure film neghittoso o, forse, tronfio. Risponderà il sequel? Chissà, anzi, chissenefrega.

Prometheus ha già detto, e detto male.

Articolo Precedente

The Story of Film. Un sogno lungo 7 settimane

next
Articolo Successivo

Woody per sempre

next