E’ di qualche giorno fa la notizia di un ulteriore taglio da parte del Ministero dell’Interno alla retribuzione del personale della Direzione Investigativa Antimafia. Ulteriore perché già nei mesi passati si è assistito ad una decurtazione, del 64% per il 2012 e del 57% per il 2013, del trattamento economico aggiuntivo nell’ottica della “razionalizzazione” della spesa pubblica. Fermo restando che questa seconda decurtazione di un onere definito per legge “giuridicamente obbligatorio” è apparsa illegittima poiché realizzabile solo attraverso un atto avente forza di legge (cosa che non è avvenuta), sembra che la questione sia rientrata a seguito delle parole del ministro Cancellieri, che ha parlato di tale provvedimento come di una “svista”. Dovremmo dunque tirare un bel sospiro di sollievo e pensare che la Dia, una delle intuizioni più geniali del compianto giudice Giovanni Falcone, sia tenuta nella dovuta considerazione.

In realtà scrivo di questo non solo per sottolineare la gravità dell’accaduto – con tagli illegittimi alle spese per personale di un’amministrazione pubblica che col proprio lavoro garantisce entrate allo Stato sottraendole ai criminali – quanto piuttosto per ricostruire il disegno più ampio di svuotamento della Dia che ormai da numerosi anni è perseguito dalla classe dirigente italiana (inclusa parte dell’alta burocrazia pubblica).

Piuttosto che consolidare e rafforzare il più importante e prestigioso organismo investigativo antimafia attraverso l’attuazione completa della legge istitutiva 410/91 (una delle più geniali intuizioni del compianto giudice Falcone), si assiste al suo smantellamento, graduale, silenzioso ma inesorabile, con il tacito avallo della quasi totalità delle forze politiche.

Il progetto di depotenziamento della Dia non vede la luce oggi. Lo si evince da svariati elementi. Quella che, nella mente sopraffina di chi l’ha ideata, doveva essere una struttura interforze nella quale raccogliere le migliori competenze investigative e alla quale bisognava accedere per concorso, da qualche tempo viene implementata, dal punto di vista dell’arruolamento, solo per “chiamata diretta”, rispondendo così a logiche non funzionali all’operatività dell’Ufficio, visto che non è consentita l’adeguata selezione di investigatori e analisti. Le risorse a disposizione per missioni sono ridotte al lumicino. Le investigazioni preventive sulla criminalità organizzata, fondamentale ed efficace strumento assegnato alla Dia con previsione di legge, rappresentano un ambito di azione solo virtuale a causa della carenza strutturale di personale, come dimostrato dall’organico sottodimensionato (1.200 contro gli almeno 2.500/3.000 richiesti dal primo direttore Dia, Gen. Tavormina). Nel frattempo vengono creati gruppi di lavoro ad hoc esterni alla Dia che ne invadono le competenze e presso le quali viene distaccato addirittura del personale altamente specializzato della Dia, depauperando la struttura di professionalità. In questa maniera, inoltre, la grande intuizione di Giovanni Falcone di un organo investigativo antimafia che potesse coordinare e riunire i flussi di informazioni per dipingere un quadro complesso quale quello delle attività mafiose su scala nazionale e internazionale, viene del tutto messa da parte. I flussi informativi non sono più centralizzati, l’estrema professionalità ed esperienza del personale vengono disperse.

Eppure dovrebbe essere evidente a tutti che in un momento di crisi economico-finanziaria, la lotta alle mafie deve essere più vigorosa ed efficace che mai: le organizzazioni criminali di stampo mafioso, infatti, proprio in questi frangenti sviluppano maggiori capacità di infiltrazione nel tessuto dell’economia legale. Se poi si pensa che la stragrande maggioranza dei patrimoni confiscati ai criminali è merito del lavoro della Dia si comprende come debba essere interesse pubblico quello di potenziare il più possibile questa struttura.

E così mentre a Bruxelles la Commissione Parlamentare Europea Antimafia (CRIM) ascolta il direttore Alfonso D’Alfonso ed esalta la Dia come modello da esportare negli altri Stati membri, consapevole di come il contributo di quest’organismo investigativo, fiore all’occhiello del nostro Paese nel contrasto alla criminalità organizzata, possa essere fondamentale, in Italia si procede di fatto a smantellare quell’organismo che da un ventennio porta avanti indagini scomode, raccordando peraltro pezzi importanti di informazioni nazionali e internazionali.

Eppure alle commemorazioni della strage di Capaci, il 23 maggio, si presentano ogni anno in tanti, politici e istituzioni, a ricordare Giovanni Falcone e a versare lacrime inutili e ipocrite. Falcone è stato ucciso perché aveva un progetto di contrasto alle mafie che, se attuato, avrebbe portato queste organizzazioni criminali al rapido declino. Quel progetto, di cui la Dia è parte fondamentale, che a parole piace a tutti ma che nei fatti è ostacolato da tanti. La Commissione CRIM, che mi onoro di presiedere, si sta impegnando per portare avanti nelle aule parlamentari una parte del disegno di Giovanni Falcone, quell’idea di un contrasto senza frontiere alle mafie attraverso leggi, strutture e prassi straordinarie per contrastare le peculiarità del fenomeno mafioso. Mi impegnerò personalmente affinché questo lavoro sia da stimolo ad arrestare l’abbandono della DIA e anzi a sostenerne una valorizzazione in virtù del ruolo di guida che questa deve giocare a livello nazionale, europeo e internazionale.

 

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