La registrazione delle testate online è solo ed esclusivamente un obbligo di carattere amministrativo imposto ai soli editori che intendano accedere ai contributi all’editoria.

Non potevano essere più nette e radicali le motivazioni – appena pubblicate – con le quali la Cassazione ha messo la parola fine all’epica vicenda giudiziaria di Carlo Ruta, blogger e storico siciliano che ha dovuto attendere sei anni per sentirsi, finalmente, dire che non ha commesso alcun reato nel pubblicare il suo blog senza registrarne la “testata” in Tribunale.

Carlo Ruta, infatti, era stato condannato in primo e secondo grado del reato di stampa clandestina previsto all’art. 16 della legge sulla stampa [n. 47/1948].

Il ragionamento seguito dai Giudici è di una semplicità disarmante, tale da far apparire incomprensibile come siano state necessarie due sentenze di condanna e anni di processo per arrivarvi.

I Giudici di legittimità si limitano, infatti, a osservare che “ai sensi dell’art. 1, L. 47/1948 (disposizioni sulla stampa) sono considerati stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione” e che “dall’esame di detta disposizione si evince che – ai fini della sussistenza in senso giuridico del prodotto stampa – necessitano due condizioni: a) un’attività di riproduzione tipografica, b) la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività”.

Muovendo da tali elementari considerazioni la Suprema Corte ha stabilito che “il giornale telematico non rispecchia le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dall’art. 1 L. n. 47/1948 ed ossia: a) un’attività di riproduzione tipografica; b) la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività.”.

Si tratterebbe, secondo i Giudici della Cassazione, di una conclusione non modificata dalla successiva modifica della disciplina sull’editoria giacché “la normativa di cui alla legge 07 marzo 2001, n. 62 (inerente alla disciplina sull’editoria e sui prodotti editoriali) ha introdotto la registrazione dei giornali online soltanto per ragioni amministrative ed esclusivamente ai fini della possibilità di usufruire delle provvidenze economiche previste per l’editoria.”.

Non sussiste, dunque, secondo la Cassazione alcun obbligo di registrazione integrante la fattispecie di stampa clandestina per qualsivoglia giornale telematico se l’editore non ha interesse ad accedere ai contributi all’editoria.

E’ una decisione storica: non solo i blog non hanno alcun obbligo di registrazione ma non lo hanno – salvo appunto che i loro editori intendano accedere ai contributi all’editoria – neppure i giornali online più blasonati.

La stampa clandestina online non ha cittadinanza nell’ordinamento italiano.

Giustizia è fatta, quindi?

Possibile ed auspicabile ma non certo, purtroppo.

Per uno strano scherzo del destino, infatti, proprio mentre la Cassazione depositava la Sentenza che avrebbe potuto risolvere, finalmente, la situazione di incertezza creata da un legislatore semplicemente incompetente, il Parlamento è intervenuto nuovamente sulla materia.

Il 16 luglio scorso, infatti, la legge di “Conversione, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità, istituzionale” ha previsto che “Le  testate  periodiche  realizzate  unicamente  su supporto informatico e diffuse unicamente per via  telematica  ovvero on line, i cui editori non  abbiano  fatto  domanda  di  provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui  da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non sono soggette agli obblighi stabiliti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio  1948, n. 47,  dall’articolo 1 della legge 5 agosto 1981, n. 416,  e successive modificazioni, e dall’articolo 16  della  legge 7  marzo 2001, n. 62, e ad esse non si applicano le disposizioni di  cui  alla delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni  n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008, e successive modificazioni”.

Ordine, contrordine uguale disordine viene da dire.

Secondo la cassazione solo i giornali online i cui editori intendono accedere ai contributi all’editoria sarebbero tenuti alla registrazione della testata mentre, secondo il Parlamento – la nuova disciplina è successiva alla Sentenza del caso Ruta – l’obbligo di registrazione sussisterebbe anche per quei giornali i cui editori, conseguano ricavi annui superiori ai 100 mila euro.

Certo potrebbe sostenersi che anche l’obbligo così ridisegnato dal Parlamento abbia una valenza solo amministrativa e che, pertanto, la sua violazione non costituisca reato ma è elevato il rischio che, per dirlo con certezza, sarà necessario attendere un’altra Sentenza della Cassazione che, magari – come nel caso Ruta – arriverà solo dopo che, un cittadino italiano, sarà stato costretto a passare per le forche caudine di due sentenze di condanna ed ad attendere sei anni, per aver semplicemente detto la sua online.

E’ una festa all’agrodolce nella quale non possiamo che prendere atto che restiamo un Paese poco libero e niente affatto moderno.

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