Se il gabbiano Jonathan Livingston, protagonista del romanzo di Richard Bach, è un gabbiano diverso dagli altri, che si contraddistingue per il suo desiderio non di mangiare, bensì di imparare a volare in maniera perfetta, motivo questo per cui è costantemente rimproverato dai genitori ed escluso dai suoi simili, il gabbiano di Emanuele Bocci, invece, non è simbolo di libertà come lo è nell’immaginario collettivo, ma diventa in questo tempo, caricatura di sé, libero sì, ma solo di volare da una discarica all’altra.

È l’allegoria dell’uomo moderno, anche lui libero, ma di una libertà monca e asfissiata dal pattume di una vita sempre meno a misura d’uomo. Si intitola, “Un po’ gabbiano” l’album d’esordio del musicista che oggi andiamo a conoscere, il cantautore toscano Emanuele Bocci, autore di un disco che suona d’altri tempi, con sfumature swing e incentrato principalmente sulle tematiche legate all’ambiente e non solo, i cui brani fanno parte anche di uno spettacolo di teatro-canzone intitolato “Un Clima Nuovo” scritto da Bocci stesso. Con un album dai testi ironici, divertenti, profondi e ispirati, Emanuele Bocci è legato a doppio filo alla tradizione cantautoriale italiana rappresentandone una delle più belle speranze. Siamo andati a intervistarlo per conoscerlo più a fondo.

Il tuo disco, che definirei “neo-neorealista” si fa apprezzare anche per la libertà con la quale ti muovi fra swing, pop e la tradizione cantautorale italiana: mi puoi parlare delle tue influenze musicali e di come entrano nella tua musica?

Ho avuto una formazione musicale e ascolti molto variegati: pop, musica etnica, musica classica, teatro-canzone, jazz, swing, folk, musica bandistica, hard rock, passando ovviamente dai grandi maestri del cantautorato italiano. Quando scrivo un brano immagino l’ambientazione musicale migliore in cui poterne collocare il soggetto, così, alla fine, vien da sé attingere dal bagaglio dei miei ascolti, passare da un genere all’altro laddove ad esempio uno swing si confà alla frenesia di una città intasata dalle auto (Non ci sono più parcheggi) o l’atmosfera nostalgica di un musette fa da cuscino alla malinconia di un uomo che riflette sulla sua condizione (Il musicista).

Un po’ gabbiano” è la tua opera prima, dove hai composto le musiche e i testi. Mi racconteresti “come nasce e cresce” una tua canzone e che rapporto sei riuscito a instaurare con i musicisti che hanno partecipato alla sua produzione?

Le mie canzoni nascono da esperienze di vita, vissute direttamente da me, ma anche lette, o raccontate da altri. “Un po’ gabbiano” è intriso di fatti, storie, notizie rielaborate in canzoni che da queste tematiche prendono spunto, non a caso è stato definito il primo disco ecologista in Italia. Riguardo ai musicisti, ho continuato a collaborare con i musicisti con cui lavoravo da anni, uno su tutti mio fratello Cristiano, contrabbassista e grande esperto di elettronica. La produzione artistica ed esecutiva del disco è stata curata da Riccardo Cavalieri. Al momento il mio percorso artistico mi sta conducendo verso altri collaboratori. L’unico che fedelmente rimane nel mio entourage è Cristiano, ma non potrebbe essere altrimenti visto che suoniamo insieme da circa trent’anni…

Se le persone ascoltano le canzoni non per scoprire te, l’autore, ma per ritrovare in esse loro stessi, su cosa credi rifletteranno dopo aver ascoltato il tuo disco?
Potrebbero riflettere sul fatto che la vita di questo preciso periodo storico è estremamente contraddittoria e se ci guardassimo dall’esterno ci faremmo ridere… e a un secondo ascolto piangere. 

Se la musica, ma anche l’arte in generale, vivono della crisi di idee per generarne delle altre, tu cosa prevedi possa uscire di nuovo? 
Gli schemi tradizionali della comunicazione stanno saltando, noi piccoli artisti di confine stiamo riscoprendo l’arte di reinventarsi e di rivolgersi direttamente a un potenziale pubblico tramite i live e la Rete. Stiamo sviluppando, ognuno con il suo piccolo grande contributo, un pensiero indipendente e libero da quei mediatori storici che hanno omologato il linguaggio della musica su standard di mercato. Stiamo riscoprendo l’importanza di sperimentare liberamente per scoprire un nostro linguaggio autentico che rappresenti noi, la nostra poetica. Stanno nascendo ultimamente tantissimi progetti interessanti, ricchi di contaminazioni che azzardano accostamenti di linguaggi musicali e di generi in modo originale, progetti che si muovono nell’underground, un vero nutrimento per la musica e la cultura tutta… e a parte qualche rara eccezione ormai ascolto e vado a ricercare solo artisti di questo tipo. 

E cosa proporresti per uscire – artisticamente – dal pantano in cui ci si trova? 
Per uscire dal pantano… ormai sono 2-3 anni che penso che sia utile collaborare, consorziare le forze, creare delle sinergie tra cantautori, ma anche tra artisti di diverse discipline, creare delle reti alternative dove poter far girare le nostre canzoni, le nostre idee, i nostri dischi, i nostri live. Mettere da parte ogni idea di competizione e concorrenza, leggi che hanno massacrato l’arte e la cultura e ripartire dalle relazioni umane vere e gratuite. 

Come ti poni nei confronti di un mercato discografico che domina e quali pensi possano essere le vie da percorrere per tutelare il lavoro e la libertà artistica dei musicisti? 
Io mi pongo al di fuori del mercato discografico tradizionale. Immagino che sia l’unica via possibile da perseguire. Ormai da anni è un mercato saturo, che produce con la stessa logica del capitalismo, quindi è viziato dalle mode, dalle tendenze, dall’assillo delle vendite, dei target. Tra l’altro non mi viene in mente nessun artista che negli ultimi anni sia uscito fuori con una major e che sia “durato” più di 2 dischi o 3 anni… 

Qual è il tuo rapporto con la tecnologia e come consideri le opportunità offerte dalla rete? 
Riallacciandomi a quanto dicevo prima… un pensiero indipendente che produce idee e progetti indipendenti ha bisogno di un circuito libero e in questo senso internet è l’ideale. E’ vero che la rete è sempre più traboccante di proposte, informazioni, canzoni… è diventato un vero porto di mare dove attracchiamo tutti, piccoli e grandi, però è anche vero che una rete ha infinite possibilità di interconnessioni quindi possibilità infinite di comunicazione e diffusione. Il passaparola che si può creare attraverso internet, i social network è imprevedibile e imponderabile e non ti nego che molte date-live che ho fissato negli ultimi due anni sono nate proprio da questo passaparola. 

Prossimi programmi? 
Esattamente il 1° settembre ho iniziato a registrare il mio nuovo disco con la produzione artistica Filippo Gatti. Un incontro umano e artistico per me fondamentale. Anticipazioni… 9 canzoni in cui parlerò un po’ più (rispetto a “Un po’ gabbiano”) di chi sono io, delle storie, delle atmosfere che ho respirato fin da piccolo. La title-track (sul cui titolo per adesso taccio), raccontando un aneddoto di vita vissuta, dichiara tra le righe il mio manifesto di piccolo cantautore di confine. Inoltre sto iniziando a curare qualche produzione di altri cantautori ed entro qualche anno mi piacerebbe attrezzare meglio il mio piccolo studio di registrazione.

 

 

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