E’ con un no secco, deciso, motivato che la Regione Puglia cerca di sbarrare la strada al megagasdotto Tap, quello che, attraverso una condotta lunga 800km, dovrebbe convogliare il gas del Mar Caspio fino alla costa di San Foca, in provincia di Lecce. Il Comitato regionale per la Valutazione di impatto ambientale, infatti, ha dato ieri parere sfavorevole al progetto, ritenuto “fortemente impattante per il territorio e corredato di una documentazione non sufficientemente dettagliata in ordine alle conseguenze che lo stesso avrebbe sulle realtà paesaggistico-ambientali e storico-culturali del Canale d’Otranto e del territorio nel Comune di Melendugno, che insieme al Comune di Vernole avevano espresso parere sfavorevole all’opera”.

E’ così che, nella partita a scacchi sull’accaparramento del gas, giocata tutta sul doppio fronte multinazionali- governi, entra a gamba tesa il terzo incomodo, che spariglia le carte: il territorio. Il dissenso delle comunità locali interessate, coagulate nel Comitato No Tap, ha prodotto un vero e proprio ostruzionismo contro la maxicondotta che dovrebbe attingere l’oro azzurro dai pozzi di Shah Deniz, il più grande giacimento scoperto negli ultimi anni, in Azerbaijan, e portarlo fino in Italia, attraversando Turchia, Grecia, Albania e Mar Adriatico.

“L’opinione espressa dalla Commissione Regionale Via si riferisce ad una versione non aggiornata della documentazione fornita dall’azienda ed è resa su una procedura che è stata volontariamente sospesa da Tap e in corso di aggiornamento”, ribattono invece dalla multinazionale, ricordando gli accordi presi nel giugno scorso con lo stesso Ministero dell’Ambiente. “Tap auspica che la Commissione Via della Regione Puglia possa analizzare la versione aggiornata dello Studio d’Impatto Ambientale, appena sarà disponibile e con all’interno tutte le informazioni integrative capaci di rispondere alle preoccupazioni espresse in sede regionale. Il progetto del gasdotto trans adriatico adotta gli standard della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) e questo significa impiegare le procedure capaci di proteggere le persone, l’ambiente e compensare le comunità locali”.

In ballo c’è un investimento da 1,5miliardi di euro, quello che spianerebbe la “via meridionale” del gas in una partita delicatissima sul piano geopolitico internazionale, visto che l’obiettivo per l’Ue è mettere all’angolo la Russia e la sua Gazprom, mentre per l’Italia è diventare l’hub d’Europa, il serbatoio del gas da immettere nei mercati comunitari quando ce n’è bisogno, contrattandone anche il prezzo. Scelta strategica, tanto da indurre il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, a rimarcare la necessità di un ruolo italiano nel progetto, invitando esplicitamente Enel a valutare il proprio interessamento all’azionariato della Trans Adriatic Pipeline. La cordata, attualmente composta dalla svizzera Egl, dalla norvegese Statoil e dalla tedesca E.ON Ruhrgas, strizza l’occhio anche ad Atene e, giusto il 4 settembre scorso, ha ottenuto la dichiarazione di impegno a suo favore da parte del ministro degli Esteri ellenico, Dimitris Avramopoulos, durante un incontro a tre con l’amministratore delegato Tap, Kjetil Tungland, e il direttore d’affari, Michael Hoffmann.

Di traverso, però, s’è messa ora la Puglia, che “dice di no sulla base dell’esigenza di tutelare il proprio territorio da una aggressione su più fronti in nome di una autonomia energetica del Paese che ha tutto il sapore di una corsa allo sfruttamento esasperato delle fonti fossili. Da tempo abbiamo fatto scelte diverse e intendiamo perseguirle”. Commenta così Lorenzo Nicastro, assessore regionale all’Ambiente. Per mesi, cittadini e associazioni hanno rimarcato, inoltre, i timori relativi all’impatto che un’opera di queste dimensioni potrebbe avere sul delicatissimo sistema ambientale ed economico del Salento, sulla fragilità della costa di San Foca, sull’appeal turistico ancora vergine di questa terra. Lo hanno urlato in una miriade di assemblee pubbliche e sit in, lo hanno scritto nelle denunce penali presentate alla Procura della Repubblica di Lecce. Per il momento, almeno dalla Regione, si sono fatti sentire.

Certo è, tuttavia, che il parere di Bari ha solo valore endoprocedimentale, visto che la decisione finale spetta a Roma e, in particolare, al Ministero retto da Passera. Eppure, ci tiene a sottolineare il governo pugliese, “molte delle perplessità dei tecnici del Comitato Via erano già state sollevate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e non superate dalla documentazione prodotta dall’azienda, priva di un progetto definitivo da valutare come previsto dalla legge”. I nodi, che la nuova documentazione tecnica dovrà sciogliere, riguardano soprattutto il terminale di ricezione e riduzione della pressione del gas, che dovrebbe avere una capacità prevista di 20mld di mc all’anno e interessare un’area di 92mila mq vicino a centri abitati. “Valutazioni non sufficientemente convincenti- si legge nel parere- riguardano le scelte di localizzazione e di impiego delle tecnologie. In particolare, i rischi di incidente rilevante, l’impatto del gasdotto sull’Ecomuseo di Acquarica e sulla Riserva Naturale Statale “Le Cesine”, l’attraversamento di zone ricche di Posidonia Oceanica e Cymodocea oltre che di aree individuate come di nidificazione della tartaruga caretta caretta, hanno rafforzato la convinzione che l’impianto sia dannoso per il territorio”.

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