Sono in macchina con due amici. Per una volta, non tocca a me guidare. Sono stanco, ma tutto sommato sereno.

Ho visto alcuni bei film internazionali, soprattutto lo svedese e il turco della Settimana della Critica, e credo che la scelta dei film italiani sia stata la migliore degli ultimi dieci anni: Bellocchio, Ciprì, Di Costanzo, Mereu, De Matteo, Vicari, Lo Cascio, Marra, ciascuno a modo suo ha fatto un film importante. Che poi nessuno abbia vinto un Leone, se non i riconoscimenti minori della giuria principale ai film di Bellocchio e Ciprì, significa poco, perché le scelte sono spesso frutto di discussioni e compromessi, che non sempre, anche se questa volta non mi sembra che sia così, premiano i film migliori. Ammesso che esista un film migliore di un altro. Perché i film, in fondo, sono degli oggetti che ognuno vive a modo proprio, caricandoli di significati spesso diversi dagli originali. E dispiace che un grande regista come Bellocchio non l’abbia ancora capito e si accalori tanto davanti a una cosiddetta sconfitta.

Vorrei dormire, ma i miei amici continuano a mandare musica anni settanta a tutto volume. Nel dormiveglia mi sembra di sentire un pezzo che è anche nel film di Assayas, Après Mai, forse il film che mi ha colpito più di tutti, sarà perché l’ho visto accanto a Saverio, che oggi ha vent’anni, che è il figlio di uno dei due amici che viaggiano con me, che io ho conosciuto davanti alla Sala Grande quando, poco più che neonato, era ancora in carrozzina e che da grande sogna di fare il regista; sarà perché quello è un film che appunto parla di sogni di ragazzi non ancora ventenni e che fa sentire stonati e insopportabili i discorsi di quelli solo di qualche anno più grandi; sarà perché penso che il futuro deve essere loro, dei ventenni o poco più, che devono trovare prima o poi la forza di spazzarci via a noi cinquantenni o poco meno che crediamo di conoscere la vita e il mondo; sarà perché è bello nel film scoprire con i protagonisti l’amore, la lotta, le illusioni, le sconfitte, le paure, la rabbia, la voglia, l’innocenza, la delusione, la solitudine del sogno, la forza del sogno, il trionfo del sogno; sarà perché da grande Saverio farà il regista, se lo vorrà veramente.

Provo a parlarne con i miei amici, anche per farli smettere un po’ con questa musica. Loro mi guardano attraverso gli specchietti e mi azzittiscono subito.

“Ma quello di Assayas non è un film sul post sessantotto?” 
Sì, faccio io, come quello di Di Costanzo è un film sulla camorra o quello di Mereu è un film sul degrado di una qualsiasi periferia urbana o quello di Vicari è un film sullo sbarco degli albanesi in Italia o quello di Francesca Comencini è un film sullo squallore del Potere. A me piace invece leggerli tutti come dei film in cui delle persone giovanissime scoprono un mondo che non li affascina, ma che li spinge a prendere tra le mani il proprio destino e a iniziare a costruire un futuro nuovo, il proprio futuro, che i più grandi vogliono negare loro. Per me è questo uno dei fili conduttori della bella Mostra del cinema di quest’anno.

A questo punto, preoccupati, i miei amici mi costringono a fermarci a prendere un caffè. Come se non sapessero che io il caffè non lo bevo, perché non mi piace.

Riprendiamo il viaggio in silenzio. Anche la musica adesso tace. Quando poco dopo arriviamo a Roma, sono sempre più stanco, ma tutto sommato anche sempre più sereno: forse ho dormito, forse ho pensato, di certo ho una gran voglia di lotta addosso. 

C’è solo un piccolo, insignificante problema: non ho più vent’anni. 

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