“Se ho bisogno di un colpevole, mi procuro uno specchio” è con queste parole che Roberto comincia il nostro primo colloquio al Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti di Firenze (C.A.M.) dove svolgo il lavoro di psicologo e psicoterapeuta. In questo articolo, lascerò molto spazio proprio alle sue parole perché esprimono, molto meglio di quanto saprei fare io, il suo vissuto e ciò che lo ha portato di fronte a me.

Ogni persona, arrivando al nostro servizio, ha la sua storia da raccontare, tutte molto diverse, nessuna è meno degna di rispetto e di attenzione di un’altra, ma ho scelto di parlare di quest’uomo per la sua forte e non comune carica espressiva.

Roberto ha agito dei comportamenti violenti nei confronti della propria moglie, l’ultimo in presenza dei figli piccoli e questo è stato per lui inaccettabile, ha deciso che episodi del genere non si sarebbero più dovuti ripetere.

L’uomo parla di una infanzia molto difficile, così tanto da avere fatto tabula rasa di quasi tutti i ricordi dei suoi primi dodici anni di vita. Una madre soggetta a crisi depressive, finiti con un probabile suicidio, che utilizzava violenza fisica e psicologica nei suoi confronti ed un padre estremamente autoritario in litigio continuo con la moglie.

Roberto crede che il vuoto dei suoi primi dodici anni sia dovuto a qualche forte trauma rimosso, l’unica cosa di cui è certo è che, ogni giorno della sua vita, deve fare i conti con una rabbia fuori dal comune. Direttamente da lui alcune parole della sua esperienza e del suo vissuto:

“Ho un lupo in gabbia e questo lupo ha le chiavi della gabbia”
“Io non perdo mai il controllo, ho paura di cosa potrebbe succedere se lo perdessi”
“ Ho una reazione istintiva alla violenza psicologica perché ne sono stato vittima e riesco a reagirci solo con estrema aggressività”
 “Detesto la freddezza, preferisco il litigio, la politica del sussurra e bisbiglia non la sopporto perché era la politica della mia famiglia”
 “La mia era una famiglia anaffettiva, io invece ho un disperato bisogno di affetto”
 “Ho bisogno di parlare, altrimenti non faccio altro che caricare candelotti di dinamite”
“ Nella mia famiglia di origine sono stato una spugna che ha assorbito ogni conflitto e problema che potevano sorgere e ne sorgevano davvero tanti”
“Devo scaricare anche fisicamente tutte le mie tensioni, ho un rapporto animale con il mio corpo”

A dodici anni, mentre sua madre minacciava di picchiarlo, l’adolescente che in quel momento era, con calma e freddezza, le disse:  “ Non voglio più essere picchiato, se mi tocchi ancora solo con un dito, io ti butto fuori dalla finestra” . Il ragazzo non venne più toccato e, da quell’età, comincia ad avere i suoi primi ricordi divenendo, pian piano, l’uomo in lotta con il suo passato che è ancora oggi.

L’ultimo episodio di maltrattamento, partorito nuovamente dalla sua difficoltà a gestire la rabbia, segnando il limite, gli ha fatto capire che il comportamento violento non lo rappresenta e nuoce a coloro a cui vuole maggiormente bene. Vedere sua figlia controllare in continuazione che il padre e la madre non litighino, pronta ad addossarsi colpe non sue per mitigare la rabbia del genitore, o far sentire stupidi i suoi figli perché in preda ad una sofferenza di cui loro non sono responsabili lo destabilizza, aggiunge nuovo dolore al dolore originario. Nelle relazioni affettive si sente “come un elefante in una cristalleria”, brama delle vie di mezzo che non riesce mai a trovare, è sempre o tutto o niente.

Roberto deve affrontare le sensazioni lasciate da ricordi di cui non ha più memoria, i suoi “terrori senza nome”, senza uscirne mai vincitore, vittima dell’impotenza nel volere ricordare senza riuscirci, deve implodere internamente per non esplodere esternamente, consapevole che la propria vita è inevitabilmente anche tutto questo. Il suo disperato tentativo di dare un senso alle cose colpisce ed emoziona, è vivo e palpitante in ogni sua espressione ed in ogni suo sguardo.

Questa persona è stata in grado di capire l’importanza di chiedere un aiuto e lo ha chiesto e, ormai da diverso tempo, è in gruppo con altri uomini che, come lui, hanno pensato in passato che la violenza potesse essere una soluzione, ma che sono stati tramortiti dalle sue conseguenze  e ora vogliono cambiare.

Un uomo tra i tanti, ma non come tanti, un uomo coraggioso.

 di Mario De Maglie

Articolo Precedente

Lampedusa, la sindaco gentile che accoglie l’umanità

next
Articolo Successivo

Dello Russo e la “fescion sciaua”: quando il cattivo gusto vende bene

next