Il primo ha 22 anni, arriva dalla provincia di Liaoning, vive alla stazione di Xujiahui. Non sa leggere, né scrivere. Non ha nemmeno le gambe: il suo mondo è la stazione. Le 309 volte che è finito dentro gli hanno fatto guadagnare la testa della black list. La seconda di anni ne ha 88, è originaria della provincia di Anhui. Ai poliziotti, che l’hanno fermata 303 volte, in più occasioni ha spiegato che lei sotto la metro ci tornerà a chiedere l’elemosina “ogni volta che avrò perso soldi giocando a mahjong”. Poi ci sono tutti gli altri. Sono i mendicanti di Shanghai: la polizia li ha schedati e ha pubblicato su internet i profili di quelli che hanno collezionato più arresti dal 2008 a oggi, chiedendo ai cittadini di segnalarli tramite social network o telefono ogni qualvolta se li trovino davanti. “E’ vietato fare accattonaggio sui treni – spiegano gli agenti – dà fastidio ai passeggeri”. Nella città simbolo del miracolo economico cinese è cominciata la caccia agli accattoni.  

Shanghai, stazione di polizia di Xujiahui, distretto di Xuhui, cartina al tornasole del boom della metropoli: secondo dati ufficiali, il valore totale della produzione industriale del distretto ha raggiunto i 95 miliardi di Yuan, nel 1990 si era a quota 455 milioni. Il piano è partito a metà agosto da qui. Il programma si chiama “Say No to Beggars On the Metro”, “Di’ di no ai mendicanti in metro”. Poliziotti in borghese pattugliano le linee 1, 5 e 7, le più affollate. Manifesti invitano i passeggeri ad avvertire il commissariato tramite Weixin, social diffusissimo sugli smartphone, se si imbattono in un barbone tra le 10 e le 14 o tra le 18 e le 22, ore in cui i questuanti sono più attivi. Ma la stretta è in atto da tempo. Dal 1° gennaio al 10 agosto i fermati sono stati 9.006, 411 di loro sono stati portati dentro almeno 10 volte. In 962 casi si trattava di migranti, destinati ai centri di accoglienza perché fossero rispediti nelle province d’origine.

La risposta dei social network non si è fatta attendere, ed è stata sorprendente. Parte del popolo della rete si è schierato dalla parte dei mendicanti. Ma anche la stampa ha preso posizione contro il piano. Serratissimo il fuoco di fila degli editoriali. Chinese Business View ha accusato la polizia di “trattare in maniera inadeguata individui appartenenti a classi svantaggiate e umiliarli pubblicando i loro dati personali su internet”. Opinione diffusa anche tra i passeggeri: “Dovremmo tutti trattare meglio queste persone – dice a China Daily Dong Jieu, attempata signora che utilizza la metro per i suoi spostamenti quotidiani – la polizia sbaglia nel cacciarli a calci dalle stazioni”. Un movimento d’opinione che ha portato il Global Times a sentenziare in un’editoriale che “il tentativo di gettare nella vergogna gli accattoni è fallito miseramente”. 

La polizia tiene il punto. Anche ai piani alti del palazzo. Lu Feng, portavoce dello Shanghai Public Security Bureau, spiega su Weibo, il Twitter cinese, dove la lista è stata pubblicata: “I mendicanti sulla lista non sono poveri. Riescono a guadagnare fino a 1.000 yuan al giorno (125 euro, ndr). E’ capitato che qualcuno al commissariato abbia rifiutato il cibo che gli abbiamo offerto e abbia ordinato al fast food”. “La maggior parte lo fa per professione”, ha spiegato Wu Chunyu, ufficiale di polizia, al Jiefang Daily. In molti usano i bambini: “Li affittano per 200 yuan al giorno, e funzionano: è difficile dire di no a un bimbo che tende la mano”. Ma, a detta degli esperti, le leggi per contrastare lo sfruttamento “sono inadeguate”: la law of punishment for public security and administration, in vigore dal 1° marzo 2006, prevede “fino a 15 giorni di carcere e una multa fino a 1.000 yuan”. Poco più di ciò chi accade a chi viene sorpreso a mendicare: 200 yuan di multa, 25 euro. Eppure tra chi sfrutta e chi è sfruttato c’è un abisso. L’esercito dei disperati è un mare di facce e di storie. Ma a Shanghai, città il cui Pil cresce in doppia cifra ininterrottamente da 20 anni e il cui distretto finanziario (il quartiere di Pudong) è poco più piccolo dell’intera città di Chicago, per la polizia chiunque chieda l’elemosina non è altro che un nome da depennare su una black list. “Io e mio padre siamo arrivati pochi mesi fa – racconta al Daily Telegraph un uomo originario della provincia di Anhui che ha lasciato entrambe le gambe tra i rottami di un’auto e vive su un carrello di metallo in piazza del Popolo, a pochi passi dalla metro – il fatto che siamo costretti a chiedere l’elemosina non è una vergogna per noi, ma per il governo. Cosa dobbiamo fare? Aspettare di morire?”. 

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