In tempi di massima condivisione e tecnologizzazione come quelli moderni, tra app dello smartphone e social network, il semplice passaparola che da sempre guida chi si muove (buon per lui) tra ristoranti, enoteche e trattorie è stato rapidamente superato dal progresso. In caso di dubbi, per chi viaggia ma anche per chi ama escursioni al di fuori della cerchia dei suoi locali di riferimento, bastano pochi click per controllare la reputazione di un esercizio. Garantisce, almeno in teoria, la stessa community dei clienti, che con i propri giudizi e le proprie impressioni dovrebbe fornire un quadro realistico ed affidabile su qualità, servizio, prezzi e qualsiasi altro parametro.

Il condizionale è d’obbligo, oggi più che mai, perché al tradizionale problema che riguarda la validità delle recensioni (Ci si può fidare dei gusti e della competenza di chi recensisce?) se ne affiancano alcuni più delicati. In principio furono le denunce isolate di alcuni ristoratori ad attirare l’attenzione. Sostenevano che alcune delle recensioni, negative ovviamente, disponibili in rete sui propri locali fossero false; probabilmente inserite più dalla concorrenza che da clienti realmente insoddisfatti. Vicende poco piacevoli finite, in alcuni casi, sul tavolo della magistratura, complici gli esposti presentati in diverse regioni dagli esercenti che si ritenevano danneggiati. Al centro della questione la politica adottata da gran parte dei siti di recensioni online, che permettono i commenti anonimi senza eccessivi controlli.

La debolezza intrinseca di questo sistema ha portato qualcuno a fiutare l’affare, ovviamente illegale. E così al rischio di imbattersi in finte recensioni a favore redatte dal titolare stesso e in giudizi velenosi scritti dai suoi concorrenti (e fin qui si trattava di una bega da Don Camillo e Peppone) si è affiancato quello di scontrarsi con recensioni truffaldine, acquistate con moneta sonante dai titolari per indirizzare in maniera efficiente la sempre più importante reputazione online della propria cucina. Mercato sicuramente illegale e pertanto clandestino (a volte la transazione economica avviene in cambio di merce, le “recensioni” fanno parte del pacchetto, ndr) ma comunque più dignitoso dei veri e propri ricatti che ultimamente sono venuti alla luce in diverse città. Vittime i titolari di esercizi pubblici, messi con le spalle al muro da fornitori, partner commerciali e anche semplici clienti, alla ricerca di sconti o trattamenti di favore, chiesti a muso duro, pena la “gogna” telematica.

Questa vera e propria giungla in cui è costretto a muoversi l’utente della rete mina la credibilità stessa dei portali di recensione che, paradosso, proprio a causa delle loro apertura e raggiungibilità diventano inaffidabili. Quali potrebbero essere le contromisure? Ovvio rispondere i controlli più stringenti da parte dei proprietari stessi dei portali, che in fin dei conti sono screditati da queste vicende. Le ipotesi di non permettere l’anonimato o di “limitare” la scrittura delle opinioni a chi possa davvero provare di aver mangiato/bevuto in una determinata location appaiono sensate; alcuni siti lo fanno, ma altri nicchiano, convinti che troppe restrizioni potrebbero avere l’effetto di scoraggiare gli utenti dal partecipare a questo “gioco” e, in fin dei conti, il loro stesso profitto.

La maggior parte delle aziende che gestiscono queste piattaforme, tra l’altro, respinge al mittente le accuse sostenendo di effettuare già sufficienti controlli e non sembra affatto disposta a rivedere la propria policy. Anche perché la legge, al momento, non ritiene queste società responsabili della veridicità dei contenuti. D’altro canto è difficile anche la rimozione dei contenuti stessi dalla rete. Anche se viene individuata al di là di ogni ragionevole dubbio una recensione fasulla, l’iter per la cancellazione è lungo e non c’è garanzia di riuscita. Nel frattempo il contenuto incriminato resta online e viene letto e condiviso decine di volte. Rendendo la vita dell’utente medio un po’ più complicata.

di Fabio Pisanu

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