Le scuole stanno iniziando in tutto il mondo, ma a Hong Kong quest’anno sarà più complicato del solito. Oggi per gli studenti dell’ex colonia britannica è il terzo giorno di scuola. E il settimo giorno di proteste. Il punto è che il governo locale ha introdotto la cosiddetta “educazione morale e nazionale” il cui scopo è cominciare a diffondere tra i residenti il senso di appartenenza alla Repubblica popolare cinese. Nonostante l’ex colonia britannica sia stata restituita alla Cina nel 1997, infatti, i suoi abitanti continuano a sentirsi alieni rispetto ai cinesi della Repubblica popolare e hanno un forte senso di identità “locale”. La città continua ad essere governata secondo la politica – cara alla Repubblica popolare – di “un paese, due sistemi”, politica che consente ad Hong Kong di mantenere sistemi politici ed economici diversi da quelli della “madrepatria”.

Anche lo scorso anno i cittadini si erano sentiti offesi dalla diffusione nelle scuole di una brochure governativa dal titolo esplicativo: “Il modello cinese”. Nelle 34 pagine a colori si descriveva quanto il sistema a partito unico cinese fosse pragmaticamente più unito ed efficace nelle sue politiche, anche solo se comparato al sistema bipartitico americano, soggetto a “eterni dibattiti e veti incrociati”. Parallelamente il governo di Hong Kong organizzava gite studentesche alla città natale del “padre della Patria” Mao Zedong. Queste nuove guide educative avevano provocato una protesta esagerata che, a luglio scorso, era sfociata in una manifestazione di 90mila persone.

L’attuale protesta settembrina va in scena invece da una settimana di fronte ai palazzi governativi. Studenti, genitori e professori manifestano contro il tentativo di “lavaggio del cervello” messo in atto dai nuovi programmi scolastici introdotti nel 2010 dal precedente capo del governo di Hong Kong – l’Amministratore delegato, come si chiama qui –  Donald Tsang, che diverranno obbligatori  nel 2015. Allo stato attuale, solo sei delle seicento scuole elementari della città hanno introdotto i nuovi insegnamenti; 155 scuole hanno rimandato l’attivazione e 118 hanno dichiarato che non introdurranno i nuovi programmi.

Paradossalmente, non esiste una guida completa che spieghi come verranno organizzati i nuovi corsi e le nuove materie. Per incendiare gli animi degli abitanti di Hong Kong – abituati alla democrazia –  è stata sufficiente la pubblicazione delle linee guida della riforma: sorvolare sulle proteste di piazza Tian’anmen ed elogiare il modello politico a partito unico. L’idea di fondo è quella di colmare il gap esistente tra i cinesi continentali e gli hongkonghesi, che troppo spesso indugiano orgogliosamente sulla loro indipendenza e guardano dall’alto in basso i loro “compatrioti”.

Così 8mila dimostranti (40mila secondo gli organizzatori) si sono riuniti sotto agli uffici governativi e  dieci tra studenti e professori in pensione hanno cominciato uno sciopero della fame che è intenzionato a durare finché i dottori lo permetteranno. Chiedono di parlare con l’attuale Amministratore delegato della città,  Leung Chun-ying, che ancora non si è pronunciato pubblicamente sulla questione. Uomini e portavoce del suo governo, però, hanno dichiarato in più occasioni che il programma di “educazione morale e nazionale” non verrà fermato. Il risultato? Occupy Tamar: le migliaia di persone che campeggiano in piazza sono vestite di nero per solidarietà con gli scioperanti.

Nel frattempo alcuni di loro sono stati ricoverati in ospedale, ma altri si sono aggiunti raggiungendo il numero di 13 persone dedite al digiuno. La memoria non può non tornare ai lunghi giorni di sciopero della fame degli studenti in piazza nel lontano 1989. E infatti da Taiwan, un tweet di Wang Dan – dissidente di Tian’anmen – ha annunciato 24 ore di sciopero della fame per solidarietà con gli studenti Hong Kong.

Anche la stampa di Partito allude, senza mai nominarlo, a quel triste periodo. Un editoriale di oggi del Global Times sottolinea come le proteste studentesche sono “immorali e rischiose”. E incalza: “La priorità degli studenti deve essere quella di studiare. La storia ci ha già insegnato quali tragedie si possono abbattere sulla società se gli studenti cominciano a scioperare, a protestare o addirittura a scavallare la linea del confronto politico”. Sembrerebbe di leggere tra le righe una minaccia, o quanto meno un avvertimento.

Per fortuna solidarietà giunge dagli intellettuali del continente. Chang Ping, ex caporedattore del Southern Weekend e attualmente fondatore e opinionista della rivista Isunaffairs, sintetizza così la faccenda. “Nella Cina continentale, sono più di sessant’anni che il Partito comunista porta avanti il programma di educazione nazionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Chi ha ricevuto questa educazione trova difficile espandere i propri orizzonti ed è spesso chiuso ed intollerante”. Per gli studenti di Hong Kong si prevede un autunno caldo, ma il rischio e che la protesta trovi sostenitori anche nelle scuole della Cina continentale.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

Articolo Precedente

Incidente alla centrale nucleare francese di Fessenheim. “Due feriti lievi”

next
Articolo Successivo

L’accordo del (non) intervento in Siria

next