Siamo quelli con meno di 40 anni, cresciuti tra Happy Days e Dawson’s Creek, che hanno nel fallimento il comune denominatore. La prima generazione dal dopoguerra a stare peggio dei propri genitori. I più formati che questo Paese abbia mai avuto, ma anche le risorse che meno ha utilizzato. Per non parlare dei debiti che gentilmente ci sono stati messi sulle spalle e che, nel caso riuscissimo a venire fuori dalle sabbie mobili, ci toccherà estinguere. Tanto per saldare il conto del benessere dei nostri carnefici. Noi che non andremo in pensione e che le parole “mettere su famiglia” o “avere un progetto di vita” ci paiono fantascientifiche. Siamo la Generazione Perduta, tanto per usare le parole del premier Mario Monti che qualche settimana fa, in barba ai proclami d’inizio mandato, ha ammesso di non poter far nulla per noi.

Il vaso di Pandora è stato scoperchiato. Quando la più grande crisi della storia del capitalismo ha bussato alle porte del nostro vecchio Paese, i nostri mandarini (la classe dirigente più vecchia e meno mobile d’Europa) hanno subito scaricato altrove le responsabilità sul fenomeno inatteso. Spesso costruendo una retorica in cui noi saremmo i carnefici del nostro stesso disagio. Retorica, per esempio, è quella che ci definisce “bamboccioni”, giovani non competitivi, perché “troppo viziati”. L’ex ministro Brunetta si eccitava nel definirci “l’Italia peggiore” invitandoci a “raccogliere le cassette della frutta”. Il vice ministro Martone, più recentemente, ottiene il suo momento di visibilità affermando che se un giovane a trent’anni non è riuscito “è uno sfigato”. Certo che siamo sfigati: non solo non siamo figli di suo padre, ma abbiamo anche lui come vice ministro con delega ai giovani. Anche il ministro Cancellieri c’è cascata: “I giovani sono mammoni, perché non si allontanano da casa”, ha detto. Le sarebbe bastato leggere i dati Svimez sull’emigrazione giovanile dal Mezzogiorno per accorgersi che altro che mammoni: 700 mila sono i giovani andati via da casa verso il Nord d’Italia e d’Europa tra il 2001 e il 2010. Un esodo biblico di cui il Viminale non si è accorto. Siamo proprio in buone mani!

Oggi tutti fanno a gara in analisi e programmi per i giovani, forse consapevoli della bomba sociale – come lo scenario da guerra civile dei nuovi concorsi nella scuola – o forse solo per cercare nuovi consensi. Generazione che dovrà trovare da sola la strada, senza aspettare la mano caritatevole del carnefice pentito. Percorrendo questa strada – con i suoi talenti e le sue energie – avrà la responsabilità di essere l’ultima chance per il nostro Paese, sempre più vecchio e più triste.

Come Ugo Parodi trentenne che da Palermo guida Mosaicoon, specializzata nel viral marketing – 2012 miglior start up italiana – con un portfolio di grandi brand come Microsoft, McDonald, Wind, Vodafone, Nissan, Renault,Ford, Fox. Sempre da Palermo è partito Gabriele Trapani – classe 1986 – portando il suo digital media label, Wecrosstheline, in giro per l’Europa. Sono solo due fotogrammi dell’album di una generazione che non ci sta, che è in marcia per autodeterminare la propria vita. Ragazzi che non hanno atteso cooptazioni, o posti pubblici, e che non hanno perso tempo nel piangersi addosso. Ragazzi che parlano altri linguaggi, che interpretano il tempo nuovo, senza paura e diffidenza. Stanno credendo in loro stessi, nei loro saperi, inventandosi imprenditori. Sono loro i bamboccioni che daranno un futuro al nostro Paese, lanciando la sfida dell’innovazione e del coraggio.

Ma anche rinnovare la classe dirigente, cacciando aspiranti stregoni e mandarini.

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