È un dibattito di straordinaria importanza per il futuro della nostra democrazia quello che si sta svolgendo attorno alla vicenda delle intercettazioni di alcune telefonate tra il Capo dello Stato e Nicola Mancino ed è un dibattito animato da alcune delle menti più lucide – che si tratti di giuristi, giornalisti o osservatori della nostra storia repubblicana – del Paese.

E’ difficile, pertanto, contribuirvi, aggiungendo qualcosa di nuovo. Lo faccio, quindi, in punta di penna, al solo scopo di mettere a fattor comune alcune considerazioni che derivano dalla storia moderna dei segreti nell’era di Internet.

I fatti all’origine della questione, benché ormai arcinoti, meritano di essere ricordati anche perché farlo aiuta a rimanere, per quanto possibile, obiettivi: la procura della Repubblica di Palermo, nell’ambito di una propria indagine – quella sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia – ha intercettato alcune conversazioni telefoniche tra il Capo dello Stato e Nicola Mancino. 

E’ legittima o illegittima l’intercettazione – sebbene indiretta [n.d.r. i magistrati avevano posto sotto ascolto l’utenza di Nicola Mancino] – di una conversazione del Capo dello Stato? Il Quirinale ritiene che sia illegittima mentre la procura della Repubblica di Palermo la ritiene, evidentemente, legittima.

Illustri giuristi e costituzionalisti hanno, al riguardo, opinioni diverse. Il problema di diritto, dunque, innegabilmente sussiste.
Ma non è questo il punto.

Il punto è che il Capo dello Stato, preso atto dell’accaduto [n.d.r. ovvero di essere stato intercettato] ha deciso, con propria scelta autonoma e discrezionale – giacché è pacifico che avrebbe potuto anche non procedere in tal senso – di chiedere alla Corte Costituzionale di pronunziarsi sulla legittimità di quanto accaduto. Nell’opinione comune, con ciò Napolitano avrebbe inteso farsi scudo di una propria prerogativa – peraltro di almeno dubbia esistenza – per mantenere segrete le proprie conversazioni con Nicola Mancino.

E’ un fatto, in questa prospettiva, inequivocabilmente riprovevole sotto il profilo sociale e politico, specie in un momento di tanto grave crisi istituzionale.

Un Paese provato da decenni di mala-amministrazione della cosa pubblica e di stragi di Stato che ne hanno insanguinato le strade non può tollerare – che la legge lo preveda oppure no – che la più alta carica dello Stato voglia sottrarre elementi di indagine ai magistrati che provano ad accertare fatti e responsabilità di uno dei periodi più bui della nostra storia.

C’è, tuttavia – ed occorre darne atto, mettendo da parte ogni partigianeria ed emozione – un’altra possibile prospettiva dalla quale guardare alla scelta del Capo dello Stato: Napolitano potrebbe aver chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi nell’intima e sincera convinzione di difendere, così facendo, non tanto la segretezza delle sue conversazioni con Mancino, quanto, in generale, una prerogativa che – a torto o a ragione – ritiene essere essenziale affinché il Presidente della Repubblica, sia Giorgio Napolitano o quello che verrà, eserciti in modo efficace i compiti e doveri del proprio ufficio.

In questa prospettiva, la scelta di Napolitano – comunque discutibile sul piano dell’opportunità – risulterebbe istituzionalmente rispettabile e addirittura coraggiosa: il Presidente della Repubblica in carica si starebbe preoccupando di evitare che l’istituzione che oggi rappresenta venga impropriamente privata di una garanzie che le compete e che le è necessaria, a costo di esporre la propria persona ad un giudizio di straordinaria impopolarità.

Napolitano sta usando il preteso diritto alla segretezza delle conversazioni del Capo dello Stato per salvare sé stesso o per difendere la carica che oggi ricopre ma che domani sarà di un altro?

E’ una domanda che non può rimanere senza risposta. Vale, dunque, la pena di metter sul tavolo alcune considerazioni e di rivolgere al Presidente della Repubblica una richiesta.

E’ un fatto che appartiene ormai alla storia del Paese che la più alta carica dello Stato nonché attuale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giorgio Napolitano e l’ex seconda più alta carica dello Stato nonché ex Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino si siano intrattenuti al telefono in relazione – questa appare una quasi certezza – ad un procedimento penale nel quale il secondo è indagato e che riguarda una presunta trattativa tra lo Stato, nelle Sue più alte espressioni istituzionali, e la mafia.

Il contenuto di queste conversazioni è, ormai, noto non a tutti, neppure a molti ma a parecchi.

Se questa è la situazione, proviamo, ora, ad applicarvi la “lezione wikileaks”: nel 2012, un’informazione nelle mani di pochi – come è attualmente il contenuto delle intercettazioni delle quali si discute – se di rilevante interesse pubblico, prima o poi, finisce nelle mani di tutti ma, prima che ciò avvenga, è destinata ad essere utilizzata in modo improprio con il rischio – mai elevato come in questo caso – di minare e destabilizzare l’equilibrio democratico di un Paese.

È accaduto con i cablo riservati del Governo statunitense e non c’è ragione per ritenere che non accadrà con le registrazioni di un paio di telefonate tra Napolitano e Mancino. Quelle telefonate, nelle prossime settimane – se non è già avvenuto – finiranno, inesorabilmente, nell’agone politico come merce di scambio pre-elettorale ed influenzeranno l’esito delle prossime consultazioni in un modo o nell’altro.

Ed ecco, dunque, la richiesta al Capo dello Stato: pubblicare – ora e senza ritardo – sul sito internet del Quirinale, il contenuto delle sue conversazioni con Nicola Mancino, continuando, eventualmente, ad insistere – se lo ritiene davvero utile – perché la Corte Costituzionale risponda comunque al quesito che le ha posto circa la legittimità o meno di un’intercettazione del Presidente della Repubblica.

La pubblicazione produrrebbe due importanti risultati:

1. Il Capo dello Stato disinnescherebbe la mina istituzionalmente destabilizzante rappresentata dal “privilegio informativo” dei pochi che hanno già messo o metteranno le mani sulle registrazioni delle conversazioni in questione. Un’informazione nella disponibilità di tutti è un’informazione priva di valore e, dunque, non più utilizzabile in modo improprio ed illegittimo.

2. Il Presidente Napolitano, pubblicando il contenuto delle proprie conversazioni con Nicola Mancino, dimostrerebbe che il suo ricorso alla Corte Costituzionale è stato nell’interesse di una garanzia della quale egli ritiene che il Capo dello Stato debba disporre e non già – come oggi è difficile non sospettare – nel proprio egoistico interesse a mantenere segrete conversazioni delle quali evidentemente non va fiero.

Così facendo, quindi, il Capo dello Stato dimostrerebbe a tutti gli italiani che esiste ancora un’Istituzione repubblicana capace di anteporre il bene della democrazia agli interessi individualistici di chi la rappresenta.

Internet serve anche a questo: ad avvicinare le Istituzioni ai cittadini, permettendo ai secondi di recuperare fiducia nelle prime. Presidente, aspettiamo di leggerla sul sito del Quirinale.

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