A distanza di poche settimane dalla rivoluzione tutta italiana che ha aperto le porte agli accenti nei domini “.it” si torna a discutere di internet e della necessità di ampliare le possibilità di registrazione di siti e blog. Sono 1.927 i suffissi in fase di approvazione da parte della Icann (Internet corporation for Assigned names and numbers) ma 31 di questi non sembrano piacere al governo dell’Arabia Saudita che ha presentato ricorso. Sono state numerose le lamentele avanzate in questi giorni, ma spesso si è trattato di associazioni o piccole realtà che chiedevano la revisione per una facile assonanza con il nome dell’azienda; il ricorso rappresenta il primo intervento da parte di uno Stato a tutti gli effetti.

In modo particolare sotto la lente d’ingrandimento saudita sono finiti alcuni domini come .sex, .casino, .baby, .vodka, .gay, che possono in qualche modo offendere alcuni valori morali e invogliare gli utenti a ricercare materiale “immorale”. Le ragioni più forti a sostegno del ricorso sono emerse in modo particolare per il suffisso “.gay”, il cui rifiuto è stato così descritto da parte dell’Arabia Saudita: “Se ‘gay’ è un’attività accettata negli Stati Uniti, non è detto che sia accettata e accolta di buon grado anche altrove. L’Icann non dovrebbe imporre la cultura occidentale e i propri valori anche altrove, ignorando quelli delle altre società e non dovrebbe ignorare che le attività connesse a queste stringhe sono considerate un atto criminale e illegale in alcune parti del mondo. Inoltre dovrebbe attenersi ai principi del Gac (Governmental Advisory Committee) che impongono il rispetto delle nazioni in ambito culturale, geografico e religioso”.

E se la Royal Australian Navy’s ha fatto ricorso su .navy per l’ovvia assonanza, a finire sotto accusa nella “lista nera” saudita c’è anche il dominio .baby, richiesto dalla Johnson&Johnson per pubblicizzare i suoi prodotti dedicati alle giovani fasce d’età. Secondo l’Arabia Saudita dietro a questo tipo di domini (come anche .virgin, richiesto dalla società Virgin) si potrebbero facilmente celare siti pedo-pornografici o comunque inclini al mondo della trasgressione e illegalità. Tra i domini contestati rientra anche .islam, sostenendo come una singola azienda non possa farsi portavoce di un’intera comunità, o di gran parte della cultura mussulmana mondiale. Nel ricorso non vengono però chiuse completamente le porte all’introduzione di questi nuovi domini, ma viene avanzata anche una certa proposta dal tono decisamente provocatorio. “L’Icann dovrebbe lavorare per il bene di tutte le società e non spingere verso la diffusione della cultura occidentale su internet.

Se il suffisso .gay è così desiderato e necessario per la patria dell’Icann (Usa), che venga allora fornito di una stringa specifica come gay.us, senza imporlo a tutto il mondo”. Una vera e propria battaglia culturale e conservatrice che nell’era di internet non può che sfociare inevitabilmente sulla rete, come se il web fosse uno spazio da conquistare ad ogni costo. I capitali in gioco sono consistenti e gli interessi pubblicitari promettono di cambiare gli equilibri economici di tutto il mondo dal momento che la questione è tutt’altro che chiusa: gli utenti avranno tempo fino al 26 agosto per inoltrare le loro osservazioni, mentre per i ricorsi formali si andrà fino a gennaio del prossimo anno. Dopo di che la parola passerà definitivamente alla corporazione che stilerà la lista definitiva dei nuovo domini, obbligando forse il governo saudita ad adottare alcune forme di filtraggio dei dati così come avviene ormai da diverso tempo nel territorio cinese.

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