L’attesa è spasmodica, il traffico andrà in tilt, l’entusiasmo sarà parossistico. Domani, ore 18, Area Dibattiti Pio La Torre. Ressa indicibile per l’avvincente tema: “Per la buona politica: quale riforma dei partiti?”. Modera Stefano Menichini, monologa Giuliano Amato. Scariche di adrenalina pura, quasi come i Jefferson Airplane all’Isola di Wight 44 anni fa.

Comincia oggi, a Reggio Emilia, la quinta Festa Nazionale del Partito Democratico. Il cartellone, come sempre, è di livello. Da Roberto Benigni ad Alessandro Bergonzoni, da Mauro Pagani a Nada, dal Tributo a Lucio Dalla (con il Bersani bravo, Samuele) a Goran Bregovic. Settimane di musica, riflessioni, ritrovi. E tendenze, più o meno dichiarate. La prima, meramente giornalistica, è che per il Pd vanno bene tutti, ma proprio tutti – infatti c’è anche Alessandro Sallusti – tranne Il Fatto Quotidiano. L’unico giornale non invitato. Entrambe le parti sopravviveranno serenamente all’assenza reciproca, beninteso, ma è forse un dato da rilevare : dialogo uber alles, anzitutto con chi in fondo la pensa come noi (i berlusconiani), però chi ci critica è altamente sgradito. C’era una volta Zdanov.

Questa tendenza, peraltro, rischia di generare un effetto-cloroformio: Luisella Costamagna che celebra il romanzo di Walter Veltroni, Luca Sofri che titilla Matteo Renzi. E l’ubiquo Menichini che parlerà – si direbbe da solo – “di Europa, dalla carta all’online”. Botte di vita.

Se il feticismo per la sobrietà è comprensibile, desiderare la catatonia degli astanti è cosa sadica. La Festa del Pd si caratterizza per la fiducia cieca nel monolite di sempre: il “dibbattito”, rigorosamente con due “b” (e altrettante palle, talora). Temi alti, titoli severi. E un che perenne di solenne. Era già così quando Benigni – al tempo Cioni Mario – scherzava sulla schizofrenia dei “compagni”. Da una parte la minuscola Pci toscana di Vergaio che si prefiggeva di risolvere la questione mediorientale, dall’altra lo storico dibattuto di Berlinguer ti voglio bene: “E dopo, anche in base a i’ famoso proverbio, tira più un pelo di fica che du’ paia di bovi, do la parola alle signorine. Ecch’ i’ tema! Pole la donna permettisi di pareggiare coll’omo? No”.

Il dib(b)attito al tempo del Pd è un po’ diverso. Meno ironico, più penitenziale. Un mix di moniti, contraddizioni generazionali e sempiterni maanchismi. Così come suona curioso chiedere a Giuliano Amato quale sia la buona politica, sfugge il perché debbano essere Dario Franceschini e Pierferdinando Casini a rispondere al quesito (appena impegnativo): “Quale politica per il futuro?”. Tanto vale chiedere ricette vegane ai macellai.

Preoccupa anche il dib(b)attito di lunedì 27 agosto, ispirato al testo di Fabrizio Rizzi “Berlusconi, finale di partita”. Relatori: Pierluigi Castagnetti, Ugo Sposetti, Alessandro Sallusti. Almeno un antiberlusconiano non avrebbe stonato. I titoli dei dib(b)attiti trasudano l’antica e mai appagata voglia di cilicio: guai a divertirsi, la vita è dolore e periremo tra atroci sofferenze. Anzitutto se di sinistra. Che la stoica flagellazione abbia dunque inizio: ieri ce lo chiedeva il popolo , oggi l’Europa. “Come rilanciare la scuola ai tempi dello spread” (wow): “Ritorno alla terra, ritorno al futuro. Per una politica di tutela del suolo agricolo italiano” (slurp).

Accanto a incontri stimolanti (“A 30 anni da quel terribile 1982”) e belle presentazioni di libri, ci si imbatte in appuntamenti quasi minacciosi. Tipo: “Torniamo a discutere del sud”. Che sarebbe anche bello, ma se tale proposito significa ascoltare Raffaele Fitto, è lecito darsi malati (con notevole buonsenso, l’incontro successivo in programma è “Manuale di sopravvivenza”: forse per rianimare gli eventuali superstiti). Il programma della Festa è un profluvio di interrogativi. A Reggio Emilia sarà tutto un domandarsi; un alambiccarsi: un elucubrare assai pensosi. “Quale politica per il futuro” (si noti: lo chiedono a Nicola Latorre); “Quali riforme per la giustizia” (tra i relatori c’è Andrea Orlando, mica Cordero o Zagrebelsky); “Quali diritti per le coppie gay”. Dilemmi nobilissimi, ma non si capisce se il pubblico sia chiamato per ascoltare le risposte o – piuttosto – per darle. Giusto per ovviare alla mancanza di sintesi ideologica della coltissima dirigenza (a proposito: Massimo D’Alema ci sarà pure quest’anno. Disserterà di Europa con Tobias Piller. Via coi cortei). Rimarchevole anche la tendenza allegra a dire tutto e niente. Sì ma anche no. Togliatti ma pure De Gasperi. Engels senza dimenticare Paperoga. Vogliamo parlare di calcio? Ecco l’abracadabra equilibrista: “Il calcio italiano tra problemi e opportunità di riforma”. Di nuovo: tutto e niente. Problemi e riforma. Macerie e ricostruzione. La Festa, proprio come il Pd, è un contenitore capiente. Praticamente infinito: se poi, ogni tanto, ci finiranno dentro materia e antimateria, pazienza. Al massimo qualcuno imploderà (l’elettorato, si presume).

Il Fatto Quotidiano, 25 agosto 2012

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