Il governo di David Cameron taglia il welfare. E le amministrazioni locali devono ricorrere alle banche del cibo. Se nell’anno 2009-2010 l’esecutivo britannico aveva girato ai Council, le amministrazioni comunali, oltre 230 milioni di sterline per far fronte alle urgenze della popolazione, quest’anno, secondo le prime stime, l’ammontare potrebbe più che dimezzarsi. Così sindaci e consiglieri locali del Regno Unito stanno cominciando a rivolgersi alle organizzazioni di volontariato che gestiscono le banche del cibo: enti finanziati dall’aiuto di privati, chiese, scuole e associazioni e che provvedono letteralmente a nutrire quei britannici più bisognosi di aiuto.

Una mano la danno le catene di supermercati, che hanno cominciato già da qualche anno a regalare il cibo vicino alla data di scadenza o appena scaduto. Un’altra mano la danno le mense aziendali, che destinano una parte della loro produzione alle associazioni. Ma una cosa è certa: chi critica questa scelta obbligata dei Council ora dice che “il Regno Unito rischia di assomigliare sempre più all’America degli anni Trenta”. Quando, dopo la Grande Depressione, milioni di statunitensi furono obbligati a fare la fila per guadagnarsi un pezzo di pane e una minestra.

Ne sanno qualcosa gli amministratori laburisti di Lambeth, Council della Grande Londra a sud della capitale, uno dei più poveri. Ora sindaco e consiglieri stanno cercando l’aiuto di due banche del cibo locali del network del Trussell Trust, una rete di ispirazione cristiana di oltre 200 banche. E ne sanno qualcosa persino gli amministratori di Kensington e Chelsea, quartieri invece ricchissimi della capitale, presi anch’essi dall’emergenza. Il Council ha pensato di stipulare accordi con le principali catene commerciali del regno, come Tesco e Sainsbury’s. A ogni cittadino bisognoso verrà data una sorta di carta di credito prepagata con la quale fare acquisti di beni di prima necessità, ma l’acquisto di sigarette, alcol o prodotti di tecnologia verrà comunque inibito. Operazione quasi a costo zero per l’amministrazione, che si appoggia sulla beneficenza delle catene.

I conservatori, comunque, difendono questa tendenza. “È un buon esempio della nostra Big Society”, hanno detto, indicando il termine uscito più volte dalla bocca di Cameron negli ultimi anni, a indicare la sussidiarietà e il coinvolgimento di ogni livello amministrativo e di governo del Paese nella risoluzione dei problemi. Ma, intervistata dal Guardian, Liz Dowler, docente di politiche del cibo e dei bisogni sociali dell’Università di Warwick e una delle maggiori esperte del Regno Unito di politiche alimentari e di lotta alla povertà, ha detto: “Nonostante il loro fondamentale aiuto ai bisogni dei council, le banche del cibo veicolano un discorso fatto di povertà e di fame. E le banche del cibo sostituiscono ingiustamente uno Stato che si è messo da parte e che si rifiuta di svolgere un suo compito: fare in modo che tutti abbiano la possibilità di vivere decentemente. Questo, da parte della politica, è un modo troppo creativo di affrontare il problema della povertà”.

In paesi come Stati Uniti d’America e Canada, le banche del cibo sono ormai una realtà consolidata. Nel Regno Unito il loro numero è in costante aumento e l’ultimo censimento ha parlato di oltre 500 istituzioni di questo tipo in tutto il Paese, soprattutto nell’area di Londra, nell’Inghilterra del nord, l’area più povera del regno, e in certe zone rurali del Galles. Ma ora il Labour attacca: “Con il coinvolgimento delle banche del cibo nelle politiche pubbliche abbiamo superato una linea pericolosa”. Il timore è che la sussidiarietà della Big Society non sia altro che uno scaricabarile, insomma si fa fare al privato quello che il pubblico non può più fare. Ma, in un paese dove gli ospedali privatizzano sempre più funzioni, dove persino alcuni corpi di polizia hanno esternalizzato alcuni compiti ad agenzie di sicurezza a scopo di lucro, c’è da giurare che anche questa volta saranno in pochi a scandalizzarsi.

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