La legge elettorale greca? Ha prodotto quattro tornate elettorali con altrettanti governi instabili in soli otto anni, ultimo quello nato già zoppo pochi mesi fa per via di un sistema pachidermico che sacrifica la governabilità. A dimostrarlo c’è tutta la storia politica ellenica, almeno degli ultimi due lustri dove, attribuendo il premio di maggioranza al primo partito e non alla coalizione vincente, si sono fatti nascere esecutivi fragili che non hanno portato a termine né il programma di governo né le riforme di cui oggi l’Europa chiede conto.

Facendo un passo indietro nel tempo, nel 2004 il conservatore Karamanlis si aggiudicò la sfida con l’allora sparring partner socialista conquistando il 45% dei voti, corrispondenti a 165 seggi su 300 (il minimo richiesto è 151 su 300). Ma nonostante ciò non viene ricordato come un governo tranquillo, dal momento che se un pugno di deputati della maggioranza fosse stato assente o avesse inteso votare contro, avrebbe potuto mettere a rischio la sopravvivenza. Idem, anzi peggio, nel 2007, quando la crisi era già ipotizzabile nelle stanze del potere ellenico, anno in cui il 16 settembre lo stesso premier uscente vinse sul filo di lana, 41,8% contro 38,1, ovvero 152 seggi a 102. E in virtù di un complicato bizantinismo che concede un premio di maggioranza di quaranta seggi al primo partito, ma su una base sistemica ancora più farraginosa. Ovvero una legge proporzionale con sbarramento al 3% che conta 56 circoscrizioni, di cui 48 a più seggi e otto a seggio singolo, in cui si possono esprimere una o più preferenze per i candidati di un partito.

Gli altri dodici seggi invece sono assegnati mediante una lista nazionale e seggi assegnati in modo proporzionale. Ragion per cui solo dopo un biennio nel 2009 i cittadini greci sono stati chiamati nuovamente alle urne e dove il socialista Papandreu ha vinto toccando quota 160 seggi. Che, ragionando numeri alla mano, non rappresentano una sufficiente garanzia di governabilità. Venendo poi ai tristi giorni d’oggi, l’attuale governo tecnico sostenuto da conservatori, socialisti e democratici di sinistra si fonda più sulla buona volontà di dare attuazione al memorandum della Troika che alle concrete peculiarità del sistema elettorale. E dal momento che sono state necessarie due tornate elettorali per comporre un esecutivo e nella consapevolezza che i vincitori di Nea Dimokratia sono oggi al governo con Pasok e Dimar, che hanno raggranellato la meta dei voti presi dal radicale Tsipras, giunto secondo alle spalle di Samaras. E oggi all’opposizione. Un sistema quindi da non prendere certamente come esempio.

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