Quando i reattori esplosero il 12 marzo 2011, loro dormivano nella terra in attesa della primavera. Gli studiosi le hanno catturate due mesi dopo la tragedia, le larve avevano lasciato il posto agli esemplari adulti ma nel bozzolo era accaduto qualcosa di nuovo: avevano ali più piccole, occhi irregolari, antenne malformate. Sono le farfalle di Fukushima, il vento nucleare che le investì quando ancora dormivano nelle loro crisalidi ha causato loro delle mutazioni genetiche che si sono trasmesse anche alle generazioni successive. “Attraverso questa farfalla noi monitoriamo l’ambiente in cui vive l’uomo”, spiegano i ricercatori dell’Università di Ryukyus, Okinawa, che le hanno studiate e la cui ricerca è stata pubblicata dalla rivista Nature.

Si posano leggere tra i petali delle peonie e dei fiori di pesco nelle rappresentazioni dell’arte tradizionale giapponese. Sono note come Pale blue grass per loro colore azzurrino, il loro nome scientifico è Zizeeria maha e in Giappone sono diffusissime. L’esperimento condotto su di loro dall’Unità di Fisiologia Molecolare del Dipartimento di Chimica, Biologia e Scienze Marine dell’università di Okinawa è avvenuto in tre fasi. A fine maggio del 2011 i ricercatori hanno catturato 144 esemplari in 10 diverse aree del Paese, tra cui la zona di Fukushima. Mettendoli a confronto, i ricercatori hanno scoperto che nelle aree sottoposte ad una maggiore quantità di radiazioni erano cresciute farfalle con ali molto più piccole e un apparato visivo sviluppato in maniera irregolare.

Nella seconda fase, i ricercatori hanno fatto riprodurre queste farfalle in laboratori lontani 1.750 km da Fukushima, in ambienti privi di radiazioni, e hanno notato mutazioni anche nella seconda generazione: nel 18% dei casi, le antenne utilizzate per esplorare l’ambiente e cercare i partner per la riproduzione erano malformate. Sei mesi più tardi, settembre 2011, è partita la terza fase: i ricercatori hanno raccolto 240 nuovi esemplari adulti e hanno scoperto che le farfalle della zona di Fukushima mostravano un tasso di mutazione doppio (il 52%) rispetto a quello riscontrato subito dopo l’incidente. “Siamo giunti alla conclusione – ha spiegato Joji Otaki, professore associato all’Università di Ryukyus – che le radiazioni rilasciate dalla centrale di Fukushima hanno danneggiato i geni delle farfalle e che le mutazioni sono state trasmesse alle generazioni successive, sebbene non fossero evidenti in quelle precedenti”.

Il team di ricercatori studia la Pale blue grass da 10 anni, considerandola un vero e proprio indicatore ambientale. Nell’ultimo studio condotto prima di Fukushima, avevano “osservato come il colore delle ali sia mutato in conseguenza del riscaldamento globale – ha spiegato ancora Otaki all’AFP – e poiché è un insetto molto diffuso nelle aree urbanizzate, come i giardini e i parchi pubblici delle nostre città, lo consideriamo un indicatore molto attendibile della salubrità degli ambienti in cui vive l’uomo”.  Ora la ricerca dimostra come i radionuclidi rilasciati dall’esplosione dei reattori della Tepco siano in grado di influenzare lo sviluppo degli animali anche molto tempo dopo che le radiazioni residue nell’ambiente sono decadute. 

La comunità scientifica è divisa. “Questi risultati dicono molte cose sulle conseguenze che l’esplosione potrebbe avere sugli abitanti di Fukushima”, ha spiegato Tim Mousseau, biologo dell’Università della South Carolina, che studia da anni anni gli effetti dell’esplosione di Chernobyl. Kunikazu Noguchi, professore associato di protezione radiologica al Nihon University School of Dentistry, è scettico: “Abbiamo bisogno di più studi per verificare il quadro complessivo dell’impatto sugli animali”.

Ma gli allarmi si susseguono da tempo. Tracce di cesio vennero trovate prima nelle acque del mare di Fukushima, poi nel riso, quindi lo scorso dicembre nel latte in polvere per i bambini, prodotto dall’azienda nipponica Meiji. Agli inizi di agosto particelle di cesio radioattivo sono state riscontrate nel pesce pescato al largo delle coste delle prefettura di Shizuoka, Niigata e Iwate. Dati più precisi arrivano da una ricerca dell’università californiana di Stanford pubblicata il 17 luglio sulla rivista Energy and Environmental Science: le radiazioni liberate dall’esplosione potrebbero provocare tra 15 e 1.300 morti e tra 24 e 2.500 casi di cancro.

 

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