Per Sergio De Gregorio è una questione di proporzioni: “Le mie sono pipì nell’angolo che vengono scambiate per alluvioni. Ma adesso basta. Ho chiuso, ho finito con la politica. Stop. Nella prossima legislatura non ci sarò. L’ho mandato a dire anche ai magistrati di Napoli, tramite il mio avvocato”. In mezzo secolo di vita spericolata, il senatore napoletano ha accumulato acrobazie di ogni genere, nonostante la mole. Scoop da giornalista prodigio; l’amicizia fraterna con il faccendiere e ricattatore di B. Valter Lavitola; un tour spregiudicato nei partiti: socialista, berlusconiano, democristiano, dipietrista, di nuovo berlusconiano; due mancati arresti: riciclaggio nel 2009 ma il gip di Napoli disse no, truffa e bancarotta nello scorso giugno, ma il Senato ha votato no.

Senatore, lei è stanco. 

Non ce la faccio più, lascio la politica. La caccia a De Gregorio fa notizia da Bolzano a Canicattì. Il mio amico Pollari me lo disse: ‘Sergio tu sei selvaggina pregiata’.

Anche morbida e prelibata.

Hanno cominciato a devastarmi per il mio progetto politico, da dentro e da fuori il Pdl.

Italiani nel mondo: una tv e un manifesto tipo Sopranos. Eravate lei, Di Girolamo e altri tre.

Ho aperto sedi in tutto il mondo, persino a Teheran. Ho investito milioni.

Quanto?

Un’enormità.

Lavitola ha detto che lei si fuma i milioni come sigarette, peggio di Tarantini.

A Roma vivo in affitto e quando mi serve un’auto la noleggio alla Maggiore. Io ho creato un’organizzazione nazionale e internazionale che ha avuto fino a 130 dipendenti. Chi dice che io spendo e spando fa una palla corta, come si dice a Napoli.

Nei suoi pranzi della domenica a Napoli ha avuto fino a 3500 commensali.

Io ho fatto un sacco di bene.

Clientelismo.

Era gente che non poteva mangiare. Io vengo dalla scuola craxiana, non so fare diversamente.

Lei renderà orfani i suoi elettori.

Se la vedano loro, gli scienziati che arriveranno nel prossimo Parlamento. Io ho chiuso, i magistrati mi danno la caccia in maniera aperta.

Ventitré milioni di soldi pubblici per l’Avanti!. Truffa e custodia cautelare.

I magistrati possono mettere in discussione tutti i giornali di partito e tutti i giornali riuniti in cooperative, ma a questo punto prima apriamo la discussione sul sistema e poi facciamo il processo.

Non tutti fanno fatture false.

C’è la presunzione. Ma tutti, ribadisco tutti, fanno le vendite in blocco.

L’Avanti! era affamato di copie e di soldi.

Due milioni e 700mila di copie all’anno. Abbiamo fatto le cose in grande. Il giornale doveva trovarsi ovunque. Eravamo megalomani. Fu Bettino Craxi che mi volle alla guida del progetto.

Arrivò Lavitola: il socialismo fa sempre gola.

Aveva ereditato un po’ di soldi dal papà. Venne da me e mi disse: ‘Mi vuoi dare il giornale? Ti tolgo tutti i debiti’.

Lei aprì le porte al salvatore.

Sì, ma gli dissi che rimanevo come principale fornitore di servizi.

Una coppia di segugi megalomani.

Se leggeste gli atti, per tabulas sapreste che il mio rapporto con Lavitola si interrompe nel 2006. Ho avuto 7 milioni per dieci anni di servizi forniti, compresa la distribuzione.

Poi c’è il milione di B. per lasciare Di Pietro e l’Unione. Lavitola ha parlato di una trattativa più estesa per far cadere il governo.

Vanto un’inchiesta già archiviata, per quanto mi riguarda. Quei soldi furono un versamento legittimo a Italiani nel mondo, tramite vari bonifici.

Soldi di Berlusconi?

Soldi di Forza Italia. Il mio movimento è stato poi tra i cofondatori del Pdl.

Resta la trattativa per mandare Prodi a casa: “Operazione libertà”, la chiama Lavitola.

Questa è l’ultima caccia dei pm di Napoli a Berlusconi. Il capitolo cui stanno girando intorno.

Potrebbe esserci un nuovo filone di riciclaggio per lei e Lavitola, secondo un’indiscrezione.

I debiti non si riciclano. Un pentito ha detto che avrei soldi all’estero. Facciano pure le rogatorie. Io non ho nulla. Sono trasparente. Con la storia dei miei container hanno fatto una brutta figura ma nessuno lo scrive.

Sono stati aperti?

Si aspettavano il tesoro di San Gennaro. Sono uscite vecchie masserizie e scrivanie.

Lei sopporta, ma si è stancato.

Non si può banalizzare una vita, la mia vita, riducendomi a un mariuolo qualunque.

E Giuda, come gridò Di Pietro il tradito.

Scriverò la verità nel mio prossimo libro.

Quasi tempo di memorie.

Quando uscii dall’Italia dei Valori raccolsi una spinta di fortissime preoccupazioni internazionali. L’Unione di Prodi aveva grandi problemi di politica estera.

Gli americani.

L’ambasciatore in Italia Ronald Spogli mi consultava in continuazione: la questione della base Nato a Vicenza, le coperture in materia di sicurezza e difesa. Non riusciva a capire come 21 agenti della Cia fossero inseguiti da ordinanze per il rapimento di Abu Omar.

Gli Stati Uniti si fidano di lei.

Ho avuto un tributo d’onore dal Congresso e tanti riconoscimenti, anche da Rick Santorum.

E lei ritornò a casa, da Berlusconi, prendendo il taxi di Di Pietro. La politica a tutti i costi.

Non ero convinto di andare con l’Italia dei Valori. Tanto è vero che ponevo condizioni su condizioni e Di Pietro diceva sempre sì. Cercavo di farmi dire di no, ma non ci riuscivo.

Capolista al Senato per l’Idv nel 2006.

Un amico personale che faceva la lista mi mostrò un appunto di Di Pietro.

Che c’era scritto?

‘Fare lista debole’. Dopo avermi cercato, voleva fregarmi. Poi sarei io il Giuda. Ma presi 136mila voti. Quelle elezioni Berlusconi le perse in Campania a causa mia. Gli sarebbero bastati 32mila voti per superare l’Unione.

Vi siete ritrovati, per un milione di motivi.

Io ho portato tanta gente a Berlusconi. Una volta a Napoli organizzai una manifestazione e lui mi chiese: ‘Vuoi una mano? Devo far venire gente?’. Gli dissi di stare fermo. C’erano 7mila persone, tutto videoregistrato.

L’amicizia tra B. e Lavitola è finita in altro modo: ricatti e minacce di spaccare il culo.

Io ho conosciuto Valter che non aveva una lira ma faceva la bella vita. A Napoli lo chiamavano ‘Ciociò’, gli ho fatto da compare di cresima.

Lo sente più?

Due telefonate negli ultimi anni, mai con lui latitante però. Mi chiese un consiglio sullo scoop della casa di Montecarlo del cognato di Fini.

Lei consigliò?

Dissi: ‘Valter se hai notizie devi pubblicarle, non fare l’estorsore’. Poi chiamai il finiano Italo Bocchino, tuttora mio amico, e lo avvertii: ‘Guarda che in questa storia io non c’entro’.

Sempre generoso.

Io stimo Fini.

da Il Fatto Quotidiano dell’11 agosto 2012

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