Di recente un politico ha fatto presente che il lavoro non è un diritto. Forse è vero, ma senza lavoro non si campa. Nell’ottocento si diceva che il lavoro nobilita l’uomo. Se ne deduce che chi non ha un lavoro non è nobile? La discussione pare più filosofica che pratica quindi ragioniamo insieme.

L’Italia è piena di laureati. Dove li mettiamo? Se in Italia non c’è spazio, proviamo ad andare all’estero. Una parola che già di per se suscita un mix di curiosità e paura in ogni bravo italiano. L’Erasmus un po’ ha aiutato la nuova generazione a comprendere che straniero non significa alieno, ma resta sempre l’incognita del dove andare.

Nel mio girovagare in rete ho scoperto l’Onu, detto tra noi non credo di essere il primo ad averlo scoperto. L’Organizzazione delle Nazioni Unite è nata per coordinare gli sforzi per migliorare il mondo, forse meglio dire che questa definizione è quella che preferisco. Ammetto che non ho la visione d’insieme adatta per comprendere se l’Onu stia facendo il massimo per raggiungere i suoi scopi. So per certo una cosa: per svolger la sua missione l’Onu, e le altre agenzie del gruppo (Fao, Undp, Unicef, Unops etc… la lista è piuttosto lunga), hanno bisogno di molte persone. Ogni giorno vi sono nuovi annunci di lavoro pubblicati sulle rispettive bacheche delle singole agenzie Onu.

Vi sono due aspetti, a mio avviso, un po’ complessi nel lavorare per le organizzazioni internazionali. Il primo è avere la pazienza di seguire una miriade di siti con i relativi annunci, il secondo è capire la “lingua” in cui sono scritti.

Per il primo problema, nel mio piccolo, ho cercato di trovare un rimedio, creando un quotidiano distribuito via mail o twitter.

Ovvio non pretendo che sia una soluzione alla disoccupazione italiana, ma se può aiutare qualcuno a trovar lavoro… lo considero un piccolo successo personale.

L’altro problema degli annunci Onu è la lingua in cui son scritti. Generalmente in inglese, ma la scelta delle terminologie li rende inaccessibili ai più. Un esempio molto banale, il termine capacity building. Un termine che ridotto al suo significato più basilare suona, più o meno, come “noi dell’Onu veniamo da te, cittadino di un paese meno sviluppato, invece di regalarti un pesce t’insegniamo a pescare e ti diamo una canna” (un vecchio adagio di Mao). Tuttavia l’Onu e agenzie associate, egual discorso vale per le Ong, hanno un frasario complesso e ricercato. Già comprendere un annuncio di lavoro è una sorta di prima selezione. Scherzi a parte la complessità dell’Onu è elevata, la selezione rigorosa, tuttavia quello che è importante è che vi sono annunci di ogni genere e, soprattutto, non si deve conoscere “l’amico dell’amico” per lavorarci. Anzi tra le tante finestre da compilare viene specificamente chiesto se hai amici o parenti all’interno dell’organizzazione dove si sta facendo domanda.

Per certo l’Onu non è una soluzione definitiva per risolvere il crescente problema della disoccupazione in Italia, ma con un numero crescente di laureati, o manager di aziende che sono stati “esodati”, tener d’occhio gli annunci di lavoro Onu può essere un’opportunità in più per trovar lavoro e, perché no, far del bene al mondo.

@EnricoVerga  

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