Le luci si sono spente. I locali storici hanno chiuso, quelli che resistono sono mezzi vuoti. La Romagna si piange addosso e non trova pace: scappati i turisti, sono finite anche le notti dello sballo. Eppure a ballare ci si è andati per generazioni. Prima il liscio, poi le balere e infine le discoteche. Non c’era il mare da cartolina, ma c’era la vita notturna, i migliori locali italiani e deejay da tutto il mondo. C’era la classe, dicono alcuni, quel tocco in più che faceva partire milioni di giovani verso la costa adriatica per una notte o due di festa e balli sfrenati. E poi è successo qualcosa.

A scandire le notti oggi sono fallimenti, ma soprattutto continui cambi di gestione dei locali. Due le chiusure storiche nel 2006 per motivi economici che scuotono il mondo della vita notturna: il Peter Pan di Riccione (poi riaperto nel 2008) e il Paradiso a Rimini (riaperto con due nuove gestioni nel 2007 e nel 2010). E se non si chiudono le porte, è il valzer dei gestori che uno dopo l’altro prendono e lasciano attività che si rivelano ogni volta più difficili da controllare: così il Prince di Riccione, un cult della vita notturna romagnola, fallito nel 1998 e con due cambi di gestione nel 2000 e nel 2005; e pure il Pascià di Riccione, che tra 2010 e 2011 ha collezionato due cambi di proprietari. Cambiano le piste da ballo ma le storie che caratterizzano un sistema in crisi sono simili.

Alcuni lo attribuiscono alla crisi economica, altri la chiamano occasione persa. A Rimini, la notte di un weekend di pieno agosto i parcheggi sono vuoti, le strade tranquille e la festa bisogna andarla a cercare. “Non è vero, se più tardi andate davanti ai locali di gente ne trovate eccome”. Ristoratori, baristi e gestori di discoteche monitorano la strada per ore, conoscono i movimenti dei turisti, quando offrirgli da bere e quando da mangiare. Da dietro il bancone sorridono e dicono “è tutto a posto”, poi escono con l’aria pensierosa, fissano la strada e arricciano la fronte. Gente non c’è. Poca. Un crollo avvenuto negli ultimi due anni, soprattutto.

“È inutile, non ci sono soldi, è la crisi”, dice Mattia Duranti, pr (addetto alle pubbliche relazioni) del locale Coconuts di Rimini. “Le discoteche sono vuote qui come a Milano. È difficile riempirle, l’ingresso è quasi sempre gratuito e se non è gratis ci sono incluse le consumazioni. Si cerca di attirare clienti, ma è tutto cambiato”. I pr, gli addetti alle pubbliche relazioni per le discoteche, sono la figura mitica della riviera adriatica: in Romagna ci sono cresciuti per intere estati di divertimento, hanno cominciato quando ancora si guadagnava bene, e poi sono diventati operai della notte che lavorano dodici ore al giorno, sette giorni su sette per vendere un pacchetto che non funziona più. Dieci anni fa il guadagno di un pr in due mesi estivi di lavoro poteva arrivare fino a 5000 euro, ora non sono più di 2000. “Se è per questo – aggiungono Gigi e Claudio, pr da dieci anni a Rimini, – prima bastava aprire un locale mettere un deejay ed era pieno. Le discoteche erano molte di più, ma c’era anche il triplo della gente. Certo se non evolviamo un po’, dovremo cambiare affari e metterci a gestire le balere: il rischio è di far fuggire i giovani che con meno soldi vanno in Grecia, Spagna e Salento”.

Era il mito della Romagna: un divertimento senza paragoni, una macchina di attrattive dai parchi divertimenti (Acquafan, Milabirandia ecc.) fino alle notti passate in discoteca. Di vedere il mare quasi non c’era il tempo, se non per un bagno notturno o all’alba, quando il sole sorge e le spiagge sono libere. Poi qualcosa si è fermato nella caccia al turista e la Romagna è rimasta indietro. “Una casa ogni due alberghi – continuano i ragazzi, – è la geografia di Rimini. Purtroppo si offre poca qualità. Non basta lamentarsi della crisi, ma dobbiamo cercare soluzioni. Il problema è che non vogliamo la stessa cosa: gli albergatori cercano le famiglie perché chiedono più servizi e spendono di più; noi vogliamo i giovani, che sono disposti a pagare molto per entrare in discoteca e poi ripartire l’indomani”.

Dai 20 ai 40 euro l’ingresso nei locali notturni, dove offrire da bere è diventato un investimento con drink che arrivano fino a dieci euro. In pochi se lo possono permettere e allora si cerca l’entrata gratis, le conoscenze che ti passino gli inviti e si beve “al baracchino” appena fuori dal locale, dove la birra costa due\tre euro. E poi naturalmente si dorme in spiaggia, in quelle rare strisce di spiaggia libera rimasta o in macchina poche ore prima di ripartire. Una Romagna in cui ballare e divertirsi è diventata una gara ad ostacoli e dove tre giorni di vita notturna costano quasi come una settimana in Salento, dove invece le discoteche continuano a riempirsi. Ma nelle città del divertimento di un tempo, c’è anche chi resiste e cerca con furbizia e abilità di adattarsi al mercato che cambia.

È la storia di Ennio Sanese, uno dei soci della discoteca Carnaby a Rimini, da decenni alla gestione del locale: “Noi da sempre abbiamo deciso di puntare sugli stranieri. Offriamo pacchetti vacanze, facendo convenzioni con gruppi e tour operator. Abbiamo tre hotel, uno dei quali proprio davanti alla discoteca e ospitiamo ragazzi da tutta Europa”.

Non sente la crisi Sanese, come chi tra ostacoli, prezzi in rialzo e difficoltà ha cercato di mantenere un servizio che prima era ricercatissimo. “I giovani- conclude il gestore, – sono soprattutto minorenni, ma sono coordinati da responsabili e ognuno deve indossare un braccialetto che indica la propria fascia di età e i drink che possono bere, dagli analcolici ai soft drink. Così abbiamo tutto sotto controllo”. Idee alternative che cercano di tenere a galla un mercato, come i tanti pacchetti last-minute offerti da alberghi e privati, che includono notti in discoteca, escursioni nei parchi divertimenti e stanza per dormire. Si cerca di resistere e continuare ad attirare gente, anche se la paura è quella di aver perso un treno. Nella Rimini e nella Romagna di un tempo, quella di code all’ingresso ed esodi estivi per una notte di follia, restano parcheggi vuoti, risciò di famiglie in passeggio sul lungomare e gestori che fissano la strada dicendo “tornate fra un po’, andate davanti ai locali, vedrete che qualcuno arriva”. Nella speranza che sia davvero così.

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