Sono 24 mila membri dei Cda delle aziende municipalizzate, 80 mila contando anche revisori dei conti e consulenti. Per pagarli cacciamo 63 euro l’anno a testa e non servono a nulla.  Anzi, servono eccome ma non i cittadini bensì i vari potentati che li nominano. 

Funziona così: ogni Comune/Provincia/Regione è proprietario di una serie di aziende e agenzie, ciascuna delle quali ha di norma Consigli di amministrazione con cinque posti. Il Sindaco/Presidente di Provincia/Regione si prende il presidente del Cda, la maggioranza che lo sostiene due o tre posti, il resto all’opposizione. Ognuno di loro, salvo meritorie eccezioni, sta lì per garantire che la fazione che lo ha nominato abbia la sua parte: assunzioni clientelari e appalti alle imprese di riferimento. 

Lo sanno tutti oramai, e il caso della Roma di Alemanno ne è l’ennesima riprova. La soluzione c’è: azzeriamo i Cda e sostituiamoli con un amministratore unico al quale si potrà chiedere conto di quello che funziona e non funziona. Anche perché se il proprietario è uno solo, non si capisce che senso abbia nominare cinque persone.

I partiti di potere non lo faranno mai? Certo, per questo dobbiamo ridare la parola ai cittadini. Il Comitato “RomaSìMuove” di cui faccio parte insieme ai miei compagni radicali, sta raccogliendo le firme per otto referendum propositivi cittadini, uno dei quali propone proprio l’azzeramento del Cda.

Poltrone scomode solo a casa - Referendum Roma Sì Muove

Se si raccoglieranno le 50 mila firme necessarie, nei primi sei mesi del 2013 –cioè in contemporanea con le elezioni politiche- i romani sarebbero chiamati a votare, imponendo al nuovo sindaco soluzioni che altrimenti non avrebbe il coraggio o l’interesse di fare. Trattandosi poi della Capitale, è immaginabile un effetto a catena nel resto del Paese.

Il primo risultato sarebbe quello di risparmiare un bel po’ di soldi: l’associazione “Una città” di Umberto Croppi e Giuseppe Lobefaro  ha calcolato che solo a Roma il risparmio diretto dall’azzeramento dei Cda delle 12 municipalizzate di proprietà del Comune sarebbe di 4,5 milioni di euro, senza considerare i costi delle strutture, i rimborsi, le auto di servizio.

Ma soprattutto sarebbe un duro colpo al consociativismo che ha portato gli enti locali al collasso finanziario offrendo a tutti noi servizi inefficienti e indecenti. Per aiutare la campagna referendaria serve innanzitutto farla conoscere. E siccome le firme non si raccolgono da sole -50 mila in tre mesi in una sola città sono poi davvero tante, specie d’estate- regalare qualche ora ai tavoli o una piccola donazione sono fondamentali.

Roma si muove contro la partitocrazia e può fare da traino in tutta Italia.

PS: chi volesse replicare l’iniziativa referendaria nella sua città può contare sul mio aiuto.

 

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