Il “rating di legalità”, previsto dal recente decreto liberalizzazioni, dovrebbe servire a selezionare le imprese virtuose in base allo status giudiziario dei responsabili delle società, ai certificati antimafia, alla rete delle forniture. In modo da aprire loro una corsia preferenziale nell’acquisizione degli incarichi da parte delle amministrazioni pubbliche. Rimangono però poco chiari alcuni aspetti della normativa. E c’è il rischio che il “bollino blu” della legalità non si riveli davvero conveniente per le aziende.

di Mario Centorrino e Pietro David* (Fonte: lavoce.info)

Nel decreto legge sulle liberalizzazioni, concorrenza, sviluppo delle infrastrutture e competitività il Parlamento ha introdotto una normativa finalizzata ad una più efficace lotta all’illegalità, con riferimento alla tutela dei consumatori e delle imprese. E che prevede una sorta di agevolazione economica, premiante per le imprese virtuose, che compensi i costi da diseconomie esterne, prodotti dalla presenza nei mercati delle organizzazioni criminali (concorrenza sleale, racket, maggiore costo del denaro), sotto forma di assegnazione alle imprese di un “rating di legalità”.

Se conviene essere puliti

Il principio ispiratore della norma è rendere conveniente per l’impresa l’attività legale. Come gli analisti valutano i conti delle aziende quotate in borsa o dei titoli di debito pubblico, così si potrebbe misurare la legalità delle imprese, controllando e valutando lo status giudiziario dei vari responsabili delle società, i certificati antimafia, la rete delle forniture. Favorendo, in termini di priorità nell’aggiudicazione degli appalti pubblici e di accesso al credito, le aziende dotate di sistemi anti-corruzione e di codici etici, quelle che denunciano il racket o che aderiscono fattivamente alle associazioni antimafia. Per comprendere bene come è stato tradotto in norma tale principio è opportuno leggersi il testo dell’articolo 5 ter del decreto citato. (1)
Concentriamo la nostra attenzione sul secondo obiettivo della norma: l’introduzione di un rating di legalità come fattore premiante in due momenti fondamentali e significativi nella vita di un’impresa: l’inserimento cioè nel sistema dei finanziamenti pubblici e l’accesso al credito.
L’introduzione di una sorta di bollino blu per le imprese che rispettano le leggi, sfuggono a comportamenti collusivi con la criminalità organizzata, denunziano tentativi di infiltrazione in tutte le forme nelle quali queste vengono esperite (da quella più elementare dell’estorsione ad altre più sofisticate di collegamento nelle filiere di produzione) risponde a proposte più volte evidenziate da magistrati, ricercatori, operatori economici. Le quali rappresentano la testimonianza di una nuova presa di coscienza sul tema anche da parte delle associazioni di categoria (Confindustria, in particolare) e la valorizzazione dell’aspetto etico dell’impresa, già peraltro anticipate nei cosiddetti protocolli di legalità e codici interni adottati da diverse istituzioni. (2)
Le proposte sull’opportunità del provvedimento sono state infatti molteplici. Antonello Montante, delegato di Confindustria per la legalità, ha suggerito, ad esempio, di offrire un grado di distinzione alle aziende che aderiscono al Protocollo di legalità sottoscritto tra Confindustria e ministero dell’Interno il 10 maggio 2012 e che abbiano rispettato gli impegni assunti (documentazione antimafia, selezione responsabile dei propri partner commerciali, impegno a denunciare i fenomeni estorsivi ed a collaborare nella lotta al lavoro nero ed al riciclaggio). Si potrebbe valutare inoltre -sostiene- di estendere all’Abi il Protocollo di legalità individuando un percorso agevolato di accesso al credito in favore delle imprese virtuose, prevedendo, ad esempio, anticipazioni automatiche sulle commesse. (3)

Imprese trasparenti nella white list

Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, ha pensato a un compromesso tra stato e imprese virtuose basato sulla trasparenza. L’impresa fornisce determinate garanzie aprendosi ai controlli dell’amministrazione sotto tutti i profili, societario, dei capitali, della scelta dei dirigenti e della retribuzione del personale, ripristinando inoltre la tracciabilità di spese e acquisti e lo Stato la inserisce in una “white list” che la agevola negli appalti pubblici e nell’acceso al credito. (4)
Il rating di legalità sembra proprio ispirarsi al modello già adottato delle cosiddette white list, previste al momento solo per la regione Abruzzo ed il comune di Milano. (5) Le white list sono elenchi di imprese (appartenenti ai settori dei trasporti vari, smaltimento dei rifiuti, movimento terra, noleggio macchinari, forniture di ferro e calcestruzzo, guardiania dei cantieri) definite non soggette a inquinamento mafioso, formate dalle prefetture (ai sensi del DPCM del 18/10/2011) dopo una batteria di controlli preventivi.  Imprese che, sulla base di una sottoposizione volontaria a questi controlli, vengono esonerate per un anno da ogni incombenza burocratica in relazione alla qualificazione anti-mafia. Oggi comunque si denunzia la scarsa efficacia delle white list e lo scarso interesse del mondo delle imprese per questo strumento. (6)

Si fa presto a dire “legalità”

C’è da interrogarsi subito se risulti sufficiente l’indicazione di un fatturato minimo per individuare a quali tipologie di imprese dovrebbe essere dedicata la stesura di un apposito regolamento che disciplini l’attuazione della norma stessa. Regolamento che, a seguire il testo citato, non appare di facile fattura. E questo, intanto, per evidenti problemi di coordinamento tra la pluralità di soggetti che dovrebbero concorrere all’elaborazione del rating in una materia – l’esperienza sul rilascio del certificato antimafia ne è prova – contraddistinta da incertezze, contraddizioni, ritardi. Così come, almeno a prima vista, non si riesce a comprendere bene il rapporto che potrà stabilirsi tra rating di legalità e credito bancario. Rapporto che in teoria dovrebbe già esistere e rappresentare un elemento importante del “merito” bancario relativo alle imprese, senza dover ricorrere ad una dettagliata relazione alla BdI sulle decisioni assunte.  Anche se sul punto, con riguardo al fenomeno del riciclaggio, piovono autorevoli rapporti, (7) da più parti, sull’inefficacia dei controlli e sulle lacune legislative che lasciano ampi margini di discrezionalità nelle relazioni tra operatori economici e sistema bancario.
Ancora due osservazioni. Il giudizio sulla legalità di un’impresa nasce dall’accertamento di uno stato di fatto. Ma la legalità di un’impresa è dinamica; può cioè variare nel tempo, anche rapidamente, in positivo o in negativo. Come si pensa di superare questa contraddizione?
Infine, c’è da segnalare il silenzio, e l’almeno apparente disinteresse (oltre le pur giuste rivendicazioni dei “diritti d’autore”) rispetto alla norma e i tempi lunghi imposti alla redazione dei regolamenti, su come procedere in concreto alla sua articolazione, sull’analisi necessaria per prevederne gli effetti, sul collegamento infine con altre norme esistenti relative a incentivi per la legalità concessi (si pensi, per esempio, alla recente sanatoria ipotizzata per il lavoro sommerso) o a leggi in fase di approvazione parlamentare (norme anti-corruzione).
In conclusione: se il rating di legalità nasce con l’obiettivo di coniugare crescita economica con la lotta al crimine, limitarlo a “effetto annuncio” rischia di conseguire fini opposti. L’affollarsi di quesiti tecnici e istituzionali, se non affrontati con rapidità, potrebbe addirittura legittimare un’eventuale carenza di istanze per la concessione di rating creando una sorta di circolo vizioso: l’accesso agli incentivi alla legalità ostacola l’attività dell’impresa e quindi è più favorevole per l’impresa stessa praticamente rifiutarli, permanendo in zone grigie di legalità.
Forse potrebbe risultare più facile la determinazione del rating se si realizzasse a partire da processi interni alle associazioni di categoria più rappresentative sul territorio nazionale, tali da favorire adesioni collettive di iscritti, più che iniziative singole. La storia della lotta alla mafia detta su questo insegnamenti significativi.

(1) DL del 24-1-2012, poi convertito nella legge n. 27 del 24 marzo 2012, integrato dal DL n.29 del 24 marzo 2012 convertito nella legge n.62 del 18 maggio 2012. Articolo 5 ter: “Al fine di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è attribuito il compito di segnalare al Parlamento le modifiche normative necessarie al perseguimento del sopraindicato scopo anche in rapporto alla tutela dei consumatori, nonché di procedere, in raccordo con i ministeri della Giustizia e dell’Interno, alla elaborazione ed all’attribuzione, su istanza di parte, di un rating di legalità per le imprese operanti nel territorio nazionale che raggiungano un fatturato minimo di due milioni di euro, riferito alla singola impresa o al gruppo di appartenenza, secondo i criteri e le modalità stabilite da un regolamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Al fine dell’attribuzione del rating, possono essere chieste informazioni a tutte le pubbliche amministrazioni. Del rating attribuito si tiene conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario, secondo le modalità stabilite con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze e del ministro dello Sviluppo economico, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Gli istituti di credito che omettono di tener conto del rating attribuito in sede di concessione dei finanziamenti alle imprese sono tenuti a trasmettere alla Banca d’Italia una dettagliata relazione sulle ragioni della decisione assunta”.
(2)
 D. Masciandaro, “Tre strumenti per la legalità e la crescita”, Il Sole 24 Ore 30 marzo 2012
(3) A. Montante, “Rating antimafia ecco come fare”, L’Unità 2 febbraio 2012
(4)
 P. Grasso, “La crisi aiuta la mafia. Decisivo agevolare le imprese oneste”, L’Unità 5 febbraio 2012
(5)
 L.Mancini, “Le whit list stentano a decollare”, Il sole 24 ore 23 luglio 2012
(6)
 Cfr. L. Mancini
(7)
 E. Bellavia, P. Grasso, “Soldi sporchi”, Dalai Editore 2011

Mario Centorrino è Ordinario di Politica Economica nell’Università di Messina. E’ stato Commissario Straordinario dell’IRCAC (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione. E’ stato vice-presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Regionale sull’Economia Siciliana del Banco di Sicilia. Consulente esterno dal del Ministero dell’Interno sui rapporti tra economia e criminalità organizzata (1996-1997). Consulente presso la Presidenza nazionale della Confcommercio (1996-1997) su tematiche attinenti la criminalità economica. E’ stato consulente esterno della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia (1997-1999). Consulente economico del Presidente della Regione Siciliana (1998-1999). Componente dell’ Osservatorio socio-economico della criminalità organizzata presso il C.N.E. L. (1999-2001). E’ stato Direttore del Centro per lo Studio e la Documentazione della Criminalità Mafiosa dell’Ateneo di Messina (1997-98) e componente del Comitato Scientifico del Centro Internazionale di Documentazione sulle Mafie e sul Movimento antimafia di Corleone.( 2000-2002).

Pietro David è PhD in Economia ed Istituzioni presso l’Università degli Studi di Messina e docente a contratto in Politica Economia nella facoltà di Scienze Politiche. Svolge inoltre attività di consulenza con enti locali e società di servizi in qualità di esperto dei processi di sviluppo locale e programmazione territoriale. Tra i suoi lavori, Le infrastrutture aeroportuali, La domanda di trasporto aereo e le politiche regionali Aracne Editrice 2012, ed, insieme a Mario Centorrino, Le città della Fata Morgana. 5° Rapporto sull’economia della provincia di Messina(2009), Franco Angeli. 

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