Sembrava quasi che, intimamente, sperasse di essere scoperto. Per togliersi il peso ed esporsi al martirio. Della vicenda che ha travolto Alex Schwazer, quello che colpisce è la grossolanità del dolo. Il nichilismo manifesto. Più che un atto di furbizia immorale, è parso il gesto di un disperato che immaginavamo sereno. Granitico. La discrepanza tra icona percepita – medaglie, spot, vita da Mulino Bianco – e realtà sottaciuta è annichilente. Il padre Josef raccontava ieri: “L’ultima volta che è partito da qui era distrutto. Forse l’ha fatto per non deludere gli altri. Si è liberato. Così non poteva andare avanti. Spero possa condurre una vita normale. Psicologicamente non reggeva più. Si era chiuso in se stesso. Si allenava da solo. Per Alex oggi non è il giorno più brutto, il peggiore è quello che verrà”. 

Il mondo vedeva in Schwazer un esempio di virtù. Lui per primo ha contribuito a edificarsi il santino apocrifo. Per questo la disillusione è così violenta. Un altro, al suo posto, ipotizzerebbe adesso complotti; lui si è messo in posa, affinché il plotone potesse mirarlo bene. Il controllo Wada a sorpresa è del 30 luglio, a Oberstorf in Germania, dove si allena la fidanzata Carolina Kostner. “Da quel momento ho smesso di dormire, mi è crollato il mondo addosso, sapevo che l’avrebbero scoperto”. Nell’intervista – inquietante, straziante – pubblicata ieri dalla Gazzetta dello Sport, interrotta in lacrime, Schwazer ha difeso l’unica cosa che sportivamente gli resta. La gloria passata. “Quello che ho fatto prima è stato tutto pane e acqua, ve lo giuro”. L’Epo l’avrebbe assunta “a metà luglio”. Mai prima e da solo. “Non voglio andare in prigione”, ha aggiunto. Quasi a nascondere un traffico di prodotti dopanti. “L’ho trovata su internet, c’era spiegato il modo per iniettarla”. Eppure gli ispettori sono arrivati a lui seguendo le trecce di un’inchiesta della procura di Padova sul medico Michele Ferrari, lo stesso che seguiva Lance Amstrong.

Perché un uomo che apparentemente ha tutto cerca il doping su Internet, acquistandolo come un vinile su eBay, sicuro di essere rintracciato? E perché a ridosso delle Olimpiadi, quando i controlli si intensificano? Cosa scatta nella mente di un “eroe” che non sa più guardarsi allo specchio, né Dorian Gray né Henry Jekill? La spiegazione del “volere di più” è parziale. Schwazer, 28 anni da compiere, non era un atleta finito. Agli Europei di Barcellona 2010, pur ritirandosi dalla marcia 50 km, ottenne l’argento nei 20. E nel marzo scorso, proprio nei 20, aveva registrato a Lugano il record mondiale annuale. Eppure il 28 luglio – due giorni prima del controllo: perché? – ha rinunciato alla 20 km. Ufficialmente per non sprecare energie in vista dei 50. C’era l’oro di Pechino da difendere. Disse: “È giusto dare il meglio per puntare a obiettivi importanti, magari essendo un esempio per i giovanissimi che domani potrebbero fare come me”. Ora non c’è più nessun obiettivo e  l’esempio è bruciato. Con pire alimentate da chi mitraglia battutacce in rete e dai commentatori che ieri lo veneravano e oggi lo additano come unico peccatore. In Italia, del resto, se neghi l’evidenza sei un mito e se ammetti le colpe un coglione.   

Il cortocircuito tra celebrazione e quotidianità ha portato all’implosione. “Venivo da tre anni difficili, non volevo più essere il fidanzato della fidanzata che si ritira”. L’Epo era l’ultima scorciatoia per un Eden virtuale. La fama – tivù, gossip, Kinder Pinguì – è dépendance naturale per calciatori e modelli mancati. Non per chi giurava di sussurrare ai boschi. Da una parte sudava a St. Moritz, riverberando l’iconografia fatua; dall’altra parlava con i russi a Daegu 2011 e si consegnava al gorgo (“Mi hanno detto in faccia che loro usano delle cose. Questo pensiero mi girava per la testa, era un tarlo”). 

Schwazer era figurina, più che mito: puttino angelico, ragazzo acqua e sapone, partigiano montanaro che stoicamente si oppone ai frodatori. Niente marcio nella marcia: Alex era il buon esempio. Non essendo però una comare in una canzone di De André, a luglio si è presto preso la briga di non darsi il consiglio giusto. Abbracciando la rovina. Schwazer – oggi conferenza stampa a Bolzano – è indifendibile. Ha tradito, mentito, sbagliato. Pagherà. In questa gigantesca schizofrenia alfine esplosa, si avvertono però i prodromi di una recita sfiancante. Di una fragilità infinita. Sembra di rivedere, e il déjà vu inchioda, la parabola di Marco Pantani. La vicenda processuale era diversa, quella esistenziale solo in parte. Lo dicono gli psicologi, lo paventano i mental coach. Lo temono in tanti. Il marciatore non corre più, la persona comincia adesso. Auguri.

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