Concentrati sullo spread, abbiamo perso di vista il Pil. Ma il dato diffuso dall’Istat ieri ricorda che l’Italia ha un problema più urgente del costo del debito pubblico, la recessione. Nel secondo trimestre del 2012, tra marzo e giugno, la ricchezza prodotta è diminuita dello 0,7 per cento rispetto al trimestre precedente. E di ben il 2,5 per cento nel confronto con lo stesso periodo del 2011. Se il Pil rimanesse immobile fino a dicembre avremmo comunque un crollo del 1,9 per cento (la “variazione acquisita”). Purtroppo, invece, il Pil continuerà a scendere. Le cose non andavano così male dal 2009, quando la crisi travolse l’economia reale italiana, con un tracollo del 5 per cento. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Viscoha già avvertito che la crescita resterà negativa anche per tutto il 2013.

Al Presidente del Consiglio Mario Monti restano tre opzioni: continuare come se niente fosse, annunciare una nuova manovra correttiva o chiedere gli aiuti europei, come hanno fatto Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Cipro. Nel Def, il Documento di economia e finanza presentato in aprile, il governo ha impostato la politica economica su un Pil ben diverso: -1,2 per cento. Già allora sembrava un eccesso di ottimismo , ma il premier aveva la necessità contabile di salvare almeno formalmente l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 (il deficit è cifrato a -1,7 nel 2012 e -0,5 nel 2013). “L’impatto dell’aggravamento della recessione sul deficit sarà di circa un punto: nel 2013 sarà 1,4 invece che zero virgola”, spiega Stefano Fantacone, economista del Centro Europa Ricerche. Quindi, se Monti volesse rispettare gli obiettivi che ha preso con i mercati, dovrebbe trovare circa un punto di Pil, 16 miliardi.

Ma fare un’altra manovra rischia di peggiorare le cose, nuovi tagli e nuove tasse aggraverebbero la crisi. “La recessione del 2009 dipendeva soprattutto dal crollo delle esportazioni. Che poi si sono riprese. Questa volta sono i consumi delle famiglie che si stanno riducendo drasticamente, scenderanno del 2,5 per cento, forse del 3 per cento” avverte Fantacone. Il governo ha comunque pronte le leve per agire su entrate e uscite, con il taglio delle agevolazioni fiscali (che per molti significherebbe un aumento delle imposte) e con il rapporto elaborato dal professor Francesco Giavazzi sulla riduzione dei sussidi pubblici alle imprese. Ma, se può, Monti eviterà altri interventi recessivi. Il governo – anche se non può ammetterlo – sta riconoscendo che il rigore imposto dalla Germania aggrava problemi già seri.

Restano le altre due opzioni. Monti ancora non ha scelto, sono entrambe ad alto rischio. La richiesta di aiuti al fondo europeo salva Stati Efsf per ridurre lo spread diventa più probabile con il precipitare della recessione: gli aiuti non andrebbero all’economia reale, ed è probabile che la troika Ue-Fmi-Bce imponga altri sacrifici in cambio del sostegno (anche se il premier sta facendo di tutto per limitare queste “condizionalità”). Ma una riduzione del costo del debito, grazie all’acquisto di titoli di Stato già in circolo o direttamente alle aste, potrebbe limare la spesa per interessi (circa 85 miliardi all’anno) quel tanto che basta da rendere non più necessarie le temute manovre correttive. Nell’intervista di ieri al Wall Street Journal, Monti dice: “Quello che chiediamo è che le autorità europee certifichino la buona condotta dell’Italia traducendola in interventi per tenere gli spread entro limiti ragionevoli”. In ogni dichiarazione pubblica Monti si avvicina sempre più alla richiesta esplicita di sostegno, soltanto un mese fa diceva che il “meccanismo anti-spread” all’Italia non sarebbe servito.

La terza ipotesi è la più rischiosa, ma anche con i benefici maggiori, se le cose vanno bene: restare immobili e aspettare. Sempre al Wall Street Journal Monti assicura che “non ho dubbi che la notte prima della disintegrazione dell’euro la Bce farebbe quello che serve per salvare l’euro”. Ovvero: se c’è l’emergenza, Mario Draghi comprerà debito italiano (e spagnolo) con o senza la richiesta di aiuto posta oggi come condizione (con il conseguente memorandum di impegni da firmare). Ci vogliono nervi molto saldi, però, e sperare che tutto vada liscio. A giudicare dalla gaffe di ieri e dalla successiva smentita – “con il governo precedente lo spread sarebbe a 1200” – anche quelli di Monti cominciano a risentire dello stress.

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