Anche gli osservatori dell’Onu hanno lasciato Aleppo. Lo ha reso noto la stessa Organizzazione con un comunicato, spiegando che la decisione di abbandonare la seconda città della Siria è dovuta a «motivi di sicurezza». I motivi sono chiarissimi: i combattimenti si sono estesi dal quartiere di Salaheddine, epicentro degli scontri degli ultimi giorni, ad altre zone della città, comprese quelle adiacenti al centro storico, patrimonio mondiale dell’Unesco. Secondo fonti citate da Al Jazeera, l’esercito regolare avrebbe ammassato circa 20 mila soldati attorno ad Aleppo, mentre il quotidiano filogovernativo siriano Al-Watan scrive che i «terroristi» avrebbero tra i 6 e gli 8 mila combattenti in città. Il corrispondente da Aleppo dell’agenzia di stampa Afp aggiunge che nonostante l’evidente aumento delle truppe governative negli immediati dintorni della città, l’esercito sembra aver adottato una tattica più prudente, affidandosi all’azione degli elicotteri da combattimento e cercando di evitare di essere trascinato di uno scontro da guerriglia urbana che potrebbe favorire i guerriglieri e anche causare un altissimo numero di vittime civili.

Intanto, a Damasco, è arrivato Said Jalili, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran, impegnato nello sforzo di salvare i 48 cittadini iraniani rapiti domenica dai combattenti del Free Syria Army e accusati di essere pasdaran, un’accusa che Teheran smentisce affermando che si tratta di pellegrini sciiti. Tre di loro sono morti. Secondo l’emittente iraniana Press tv, sarebbero stati uccisi dai miliziani anti-Assad, mentre secondo il Fsa sarebbero morti nei bombardamenti che ancora colpiscono alcune zone attorno alla capitale siriana. Per cercare di arrivare alla liberazione degli altri ostaggi, il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi è volato in Turchia per incontrare il suo omologo turco Ahmet Davutoglu. L’Iran ha chiesto alla Turchia e al Qatar di mediare con i ribelli per arrivare alla liberazione dei suoi cittadini, ma l’incontro tra Davutoglu e Salehi servirà probabilmente a discutere più in generale la situazione siriana: i due paesi hanno discrete relazioni bilaterali – anche per il fatto di essere le due potenze emergenti e non arabe della regione – ma posizioni diametralmente opposte sulla crisi in corso in Siria. La Turchia appoggia apertamente (e anche logisticamente) i ribelli anti-Assad e ha chiesto al presidente siriano di farsi da parte, mentre l’Iran sostiene Assad, non solo politicamente.

Decisamente più duri i toni del presidente del Majlis, il parlamento iraniano, Ali Larijani che in un discorso davanti ai deputati ha accusato gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione – secondo Press tv – di essere responsabili della morte dei tre cittadini iraniani e della sorte degli altri 45: «Alcuni stati si sono lanciati in un massacro nel nome dell’Islam e maltrattano anche i pellegrini iraniani in Siria – ha detto Larijani – L’Iran non potrà far finta di non vedere questi crimini». Nonostante i toni bellicosi, comunque, l’Iran sta cercando di trovare una mediazione plausibile alle tensioni in Siria e anche per questo, tra una settimana, il presidente Mahmoud Ahmadinejad sarà alla Mecca per il vertice dell’Organizzazione della cooperazione islamica. In quella occasione, secondo fonti iraniane, dovrebbe esserci anche un incontro con i vertici dello stato saudita per evitare che la crisi siriana possa espandersi fino a diventare uno scontro a tutto campo tra sunniti e sciiti (nonché, in parte, tra arabi e persiani), dalle conseguenze imprevedibili.

Lo stesso Jalili, lunedì, a Beirut, ha ripetuto che la formula caldeggiata dall’Iran per uscire dalla crisi siriana passa attraverso «la piena cessazione delle violenze, il dialogo nazionale, elezioni generali e aiuto umanitario», secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna.

Una seconda occasione di “tessitura” per la diplomazia della Repubblica islamica, peraltro, sarà il summit del Paesi non Allineati, previsto a Teheran dal 26 al 31 agosto. Il vice presidente iraniano Hamid Baqei è volato al Cairo per invitare ufficialmente il presidente egiziano Mohammed Mursi ed, eccezionalmente, sono stati invitati al summit anche Russia e Turchia, che non fanno parte dei Non-allineati. La speranza è che i paesi della regione, direttamente minacciati dalle conseguenze di una completa implosione della Siria, possano trovare quell’accordo che finora è mancato all’Onu. In un caso del genere, tutti gli scenari per una possibile transizione resterebbero aperti.

di Joseph Zarlingo

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