Emilio Riva, il ‘vecchio’ patron di Ilva resta ai domiciliari. Custodia cautelare confermata anche per il figlio Nicola, ex presidente del cda, e per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. Tornano liberi invece Marco Andelmi, Angelo Cavallo, Ivan Di Maggio, Salvatore De Felice e Salvatore D’Alò, i dirigenti dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Lo ha stabilito il tribunale del riesame di Taranto che nel primo pomeriggio ha depositato il documento e lo ha notificato alle parti. Non sono servite neppure al riesame, quindi, le sostituzioni ai vertici dell’azienda per evitare gli arresti domiciliari. Avvicendamenti che il gip nella sua ordinanza aveva già definito “una gattopardesca strategia funzionale, nei suoi intenti, solo alla messa a riparo, da paventati provvedimenti, spiegando che siffatti mutamenti non valgono certamente a neutralizzare i gravi indizi di colpevolezza dai quali i nominati indagati sono raggiunti” e “non consentono di ritenere senz’altro escluse le esigenze cautelari”.

Il tribunale ha anche confermato il sequestro senza facoltà d’uso dei sei reparti dell’area a caldo a cui il gip di Taranto Patrizia Todisco aveva apposto i sigilli il 26 luglio scorso. Il tribunale ha tuttavia concesso a Bruno Ferrante, presidente di Ilva spa nominato anche amministratore e custode accanto ai tre già nominati dal gip, di utilizzare gli impianti solo con l’obiettivo di metterli a norma. Nel dispositivo di due pagine i magistrati dispongono che i quattro custodi “garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e dell’attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo”. Per il resto il tribunale ha confermato il decreto di sequestro impugnato. E se Ferrante nella conferenza stampa parla di messa a norma solo con gli impianti in funzione, di tutt’altro avviso è il procuratore Franco Sebastio.

“Leggeremo le motivazioni – ha dichiarato il capo del pool che indaga sulla fabrica per disastro ambientale – ma stando al tenore letterario, il provvedimento consente l’utilizzazione degli impianti non al fine della produzione ma affinché si facciano i lavori di messa a norma. La finalità del provvedimento è fare i lavori, non è produrre e lavorare – ha aggiunto -Questa, semmai, potrà essere una conseguenza indiretta”.

Anche la nomina “a custode e amministratore delle aree e degli impianti in sequestro” del commissario dell’Ilva Bruno Ferrante, ha detto Sebastio, ha una sua logica: spetta infatti all’azienda finanziare i lavori di messa a norma. “Il provvedimento – ribadisce – consente l’utilizzazione degli impianti non al fine della produzione ma affinché si facciano i lavori di messa a norma. Il che è logico perché nel momento in cui si devono fare i lavori l’impianto deve funzionare altrimenti non si può verificare se questi sono stati fatti”.

Ora quindi la palla passa in mano all’Ilva. La strada per provare a far coesistere diritto alla salute e diritto alla vita è inesorabilmente legato alla volontà dell’azienda di investire per la sistemazione degli impianti. Il futuro dello stabilimento e dei suoi lavoratori, quindi dipende dai vertici di Ilva e dal Gruppo Riva. Ed è lo stesso Sebastio a confermarlo: “Se l’azienda – ha concluso il procuratore di Taranto – per mera ipotesi, dicesse ‘non intendiamo collaborare’, allora dopodomani si chiude”.

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