Teheran – Alla fine, puntuali come ogni mese, sono arrivati. Prima che cali il sole lungo Vali Asr, la principale arteria della capitale e la via più lunga del Medio Oriente, il rumore del traffico intenso non è l’unico suono che accompagna gli iraniani verso la fine del digiuno giornaliero del Ramadan. Dai tetti delle case, infatti, proviene il suono metallico di lamiere divelte e spaccate, qualche grido di protesta e il ronzare di televisori senza più ricezione: è ancora una volta la “Polizia Morale”, come la chiamano qua, che come ogni mese si infila nei palazzi, uno per uno, per raggiungere i tetti e distruggere le parabole collegate abusivamente per la ricezione dei canali satellitari.

Tagliano i fili, distruggono a martellate e pestoni le parabole per passare poi al caseggiato successivo. Una tradizione a cui gli iraniani, ormai, fanno spallucce. “Se stai guardando la CNN, Bloomberg o France 24 e all’improvviso il video scompare – sostiene un inquilino sceso in strada per evitare di assistere all’ennesimo massacro satellitare – sai che sono loro e che nei prossimi giorni dovrai raggranellare i soldi per comprare un’altra parabola. Al mercato nero, ovviamente”. Da qualche mese, però, i raid della Polizia Morale sui tetti di Tehran si sono intensificati, con parabole che volavano sino in strada e percosse a chi si oppone all’ennesimo stop forzato ai canali internazionali. Il motivo, più che semplice, ha poco a che fare con i delicati equilibri internazionali ma è più sintomo del fragile equilibrio su cui sta camminando la politica interna.

Mentre sul tavolo diplomatico si cerca di convincere l’Iran ad abbandonare il processo di arricchimento dell’uranio che potrebbe verosimilmente portare alla produzione di armi nucleari, a turbare i sogni del Governo di Mahmoud Ahmadinejad è la crescente inflazione che rischia di portare sull’orlo della povertà la popolazione. Solo nel primo trimestre del 2012 il tasso di inflazione è salito al 23%, e sulla torrida estate iraniana pesa l’aumento del 40% su tutti i beni primari: dal latte al pane fino al pollo, uno degli alimenti principali della dieta locale. Dalla notte al giorno, quindi, gli iraniani si sono svegliati con prezzi raddoppiati e salari fermi al 2004, quando un operatore di banca guadagnava mensilmente 600 dollari. E le proteste non sono tardate ad arrivare, soprattutto su Internet. Anche se il Governo filtra meticolosamente il web, sui siti pirata che viaggiano in parallelo alla rete ufficiale le madri di famiglia hanno portato avanti uno sciopero forzato di sette giorni contro l’acquisto di latte e pollo, dimezzando le entrate delle piccole drogherie che costituiscono di fatto l’unico punto di commercio per il settore alimentari del paese.

A stringere la cinghia non sono solo le famiglie, però. Le macellerie come le panetterie sono deserte e solo il venerdì, giorno sacro per i musulmani, chi se lo può ancora permettere fa la fila fuori dai negozi con mazzi di Rials – la moneta locale – per riuscire a comprare qualche petto di pollo e due fette di pane.

Ma se anche l’uptown di Teheran, la zona benestante della città, comincia a fare i conti con prezzi inavvicinabili per beni di prima necessità, il Governo la scorsa settimana è corso ai ripari: su ordine del ministro delle Telecomunicazioni, dalle televisioni nazionali come quelle locali è bandita la messa in onda di persone che cucinano o mangiano e dalle serie televisive sono state tagliate le scene girate in cucina e la parola “pollo”, con le sue relative declinazioni, è stata bandita.

Cosa turba i sogni di Ahmadinejad non sono infatti le crescenti sanzioni che già stanno mettendo in ginocchio il settore petrolchimico, ma l’onesto padre di famiglia che, sentendosi umiliato davanti alla visione catodica di un pollo, esce in strada e lancia la famosa pietra scatenando la rivolta interna.

E tornare a tre anni e mezzo fa quando Ahmadinejad, neo eletto presidente per il secondo mandato, dovette far fronte al Movimento Verde che lo accusava di aver truccato le elezioni con tanto di morti in strada e giovani prelevati da casa e massacrati di botte, sarebbe come aprire la strada ad una guerra civile e a un eventuale intervento esterno per placare una situazione da troppo tempo sfuggita di mano.

Così la televisione diventa strumento capace di placare gli animi agitati di una popolazione dalle tasche sempre più vuote: il nuovo palinsesto della tv iraniana da settembre proporrà una nuova serie televisiva, “I Martiri”, sceneggiato low-cost a puntate che, dal solo titolo, sembra voler mettere le mani avanti in caso di guerra. La trama, sette uomini che si sacrificano per il bene supremo del paese, sembra essere fatta apposta per istruire gli iraniani sull’infausta ipotesi di un prossimo conflitto, prospettato da Israele per la primavera 2013 se Teheran non fosse disposta a cedere sul nucleare.

In bilico su un sottile filo di lana, tra guerra esterna e conflitto intestino, lo sguardo degli iraniani è proiettato verso novembre, data delle presidenziali americane, per cercare di interpretare meglio il proprio futuro. A patto che, per quella data, la televisione via cavo funzioni.

 

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