Il presidente egiziano Mohammed Mursi ha promesso mano dura contro i responsabili dell’attacco che domenica sera è costato la vita a 16 guardie di confine egiziane, travolte da un gruppo ancora non identificato di uomini armati che hanno poi rubato un veicolo militare e cercato di forzare il confine con Israele. “Ho dato chiari ordini a tutte le forze di sicurezza, alle forze armate e al ministero dell’interno di muoversi rapidamente per catturare i responsabili di questo attacco – ha detto il presidente egiziano in una intervista televisiva – Questo incidente non sarà trattato con leggerezza. Le forze di sicurezza ristabiliranno il controllo su tutte le aree del Sinai. Chi è dietro questo attacco pagherà un prezzo molto alto, così come lo pagherà chi ha collaborato con gli assalitori”.

La dinamica dell’attacco, avvenuto al valico di frontiera di Karem Abu Salem, nel nord del Sinai, è ormai chiara: un gruppo di uomini armati ha assalito le guardie egiziane per rubare due veicoli militari e cercare di entrare in Israele. L’assalto è avvenuto mentre le guardie si preparavano a rompere il digiuno quotidiano del Ramadan. Uno dei due veicoli è stato colpito da un razzo lanciato da un elicottero israeliano, mentre il secondo è esploso – forse colpito dagli egiziani – prima di entrare in Israele. Secondo i servizi di sicurezza israeliani, l’intento del gruppo avrebbe potuto essere quello di entrare in Israele per cercare di rapire degli ostaggi.

Secondo la tv egiziana, a compiere l’attacco sarebbe stato un gruppo jihadista finora sconosciuto che si sarebbe infiltrato attraverso i tunnel che attraversano la frontiera tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Hamas, il movimento islamico palestinese che governa la Striscia, ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco e lo ha anzi condannato con durezza, definendolo un “brutto crimine” e inviando le proprie condoglianze alle famiglie delle guardie uccise nonché al presidente dell’Egitto. Hamas ha anche ordinato di bloccare i tunnel, che servono agli abitanti di Gaza – da anni sotto strettissimo embargo da parte del governo israeliano, con la collaborazione attiva del precedente regime egiziano – anche per far passare generi di prima necessità. L’Egitto, da parte sua, ha chiuso il valico di Rafah, il solo punto di confine della Striscia non controllato da Israele.

La tv di Stato egiziana aggiunge anche che le forze di sicurezza avrebbero trovato i cadaveri di tre degli assalitori – in tutto forse una decina – e che l’azione sarebbe stata organizzata da militanti jihadisti non egiziani.

Dal lato israeliano del confine, il ministro della difesa Ehud Barak ha sottolineato che “il modo in cui gli assalitori hanno operato mostra ancora una volta la necessità di un’azione risoluta da parte dell’Egitto per cercare di mantenere il controllo del Sinai”. Tutto il confine è stato messo in stato di allerta, ha detto il governo israeliano, e i turisti israeliani che si trovano nel Sinai sono stati avvisati della possibilità di nuove azioni e invitati a rientrare in patria.

Il Sinai si sta rivelando uno dei più caldi per l’Egitto. Nella zona, oltre ai ripetuti attacchi compiuti contro il gasdotto che rifornisce Israele, la Giordania e la Siria, ci sono stati molti raid contro le forze di sicurezza egiziane che alcuni mesi fa hanno rafforzato la loro presenza nei due governatorati in cui è divisa la penisola. Meno di un mese fa, due soldati egiziani sono stati uccisi da un commando non ancora identificato e secondo le forze di sicurezza egiziane, nella penisola sono attivi sia gruppi jihadisti, sia bande di trafficanti di esseri umani (il Sinai è una delle rotte seguite dai migranti africani, soprattutto sudanesi ed eritrei per cercare di arrivare in Israele e sul Mediterraneo) sia trafficanti di armi e droga. I confini tra l’una attività e l’altra, peraltro, sono spesso molto sottili.

Ma se l’obiettivo politico di un attacco del genere fosse quello di far salire la tensione tra Egitto e Israele, l’effetto potrebbe essere esattamente opposto: tra le forze di sicurezza egiziane e quelle israeliane, infatti, la collaborazione è aumentata negli ultimi mesi proprio a causa di una minaccia percepita come comune. Tanto che l’anno scorso, il governo israeliano ha dato il suo assenso all’invio di truppe egiziane nel Sinai, oltre i limiti previsti dall’accordo di pace di Camp David del 1979, in base al quale Israele restituì all’Egitto la penisola occupata nella guerra dei Sei Giorni del 1967.

di Joseph Zarlingo

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