Davvero imbarazzante e spregiudicata la recente “rivolta” dei titolari di concessione in Italia di spiagge che contestano l’introduzione, a partire dal primo gennaio 2016, della normativa comunitaria che impedisce che stessi soggetti possano godere per un tempo indeterminato della concessione di spiagge – quindi di beni demaniali – diventandone di fatto i veri proprietari.

Paradossale e imbarazzante anche alla luce degli ultimi dati sull’evasione fiscale degli stessi concessionari: oltre il 50 per cento dei gestori di lidi, infatti, non è in regola totalmente o parzialmente con gli scontrini. In alcune aree a forte vocazione turistica, l’evasione più o meno totale raggiunge il 75 per cento degli stabilimenti. In un solo stabilimento di Rapallo, la frode ha raggiunto, nell’arco di tre stagioni balneari, i 700.000 euro. Questi dati assumono particolare rilevanza in considerazione di canoni concessori “bassi”, a fronte dei quali gli imprenditori-concessionari praticano tariffe particolarmente elevate e non esitano a ribellarsi quando alcune regioni – quali la Campania – impongano loro di non far pagare i bambini al di sotto dei 12 anni.

Insomma, grandi profitti su beni comuni di appartenenza collettiva, attività orientate esclusivamente a finalità di lucro e a realizzare quanto più profitto possibile e per contro un elevatissimo livello di evasione fiscale. Come dire: un vero e proprio saccheggio di beni comuni.

Non bisogna andare lontano per scoprire che in Francia, ad esempio, vige una norma del Code général de la proprieté des personnes publiques (art. L 2124-4 ) che prevede che l’accesso alle spiagge ed il loro uso devono essere liberi e gratuiti. In particolare tale disposizione prevede che l’accesso deve essere libero salvo che non vi siano giustificati motivi di sicurezza, difesa nazionale o di protezione ambientale che giustifichino limitazioni particolari. L’uso libero e gratuito da parte della collettività costituisce infatti la finalità fondamentale delle spiagge.

Inoltre, va evidenziato che il rilascio ed il rinnovo delle concessioni sono subordinati allo svolgimento di una inchiesta pubblica, che è un istituto di partecipazione tipico del sistema francese, ricondotto nel novero degli strumenti della c.d. democratie de proximité. In ogni caso la concessione deve essere accordata in via prioritaria ai comuni ed alla associazioni di più comuni e qualora tali soggetti rinuncino al loro diritto di prelazione, a persone giuridiche pubbliche o private previa pubblicità della procedura di assegnazione concorrenziale.

Ma la norma ancora più interessante, sempre in riferimento alla normativa d’Oltralpe, è quella contenuta nel decreto n. 608 del 2006 che all’art. 2  prevede che almeno l’80% della lunghezza del litorale e della spiaggia debba rimanere libera da qualunque struttura, equipaggiamento o installazione. Questa previsione si lega ad un altro disposto chiave del decreto in base al quale ogni installazione fatta sulla spiaggia deve essere concepita in modo da poter permettere, alla fine del periodo di vigenza del rapporto, il ritorno dell’area allo stato iniziale.

E’ dunque evidente come il sistema francese sia fortemente orientato verso la tutela ambientale dei beni comuni (demanio marittimo) e allo stesso tempo tende a garantire la fruibilità e l’accessibilità dei cittadini ai beni stessi, oltre e contro la logica del profitto di pochi.

La recente raccolta a Napoli di circa 13.000 firme, promossa dall’Assise di Bagnoli, finalizzata a presentare al consiglio comunale una proposta di delibera di indirizzo politico sta ponendo al centro del dibattito e dell’azione amministrativa comunale il tema della restituzione ai cittadini del godimento delle spiagge e del mare, contro le logiche dello sfruttamento, del saccheggio del demanio e della frequente illegittimità delle concessioni.

Essa rappresenta un’iniziativa di democrazia “dal basso” di altissima rilevanza che va raccolta subito da Consiglio e Giunta comunale, ma deve rappresentare anche l’occasione per aprire una riflessione nazionale che abbia quale obiettivo quello di riformulare la legislazione vigente attraverso norme che tutelino meglio e di più il demanio marittimo. Ed è, inoltre, un modo efficace per contrastare questa inammissibile forma di evasione fiscale perpetrata sulla concessione di un bene comune.

Ben venga la normativa comunitaria a partire dal 2016, che non dovrebbe più consentire ai concessionari di trasformarsi in veri e propri proprietari di beni comuni di appartenenza collettiva. Ma la normativa europea comunque non sarà sufficiente, perché ispirata da logiche mercantili e del profitto. Occorre invece, e al più presto, una normativa nazionale, che dica in maniera chiara e netta che le spiagge sono beni comuni di appartenenza collettiva fuori commercio, che sono in uso diretto comune e gratuito da parte della collettività e sono gestiti dallo Stato e da altri enti esponenziali della collettività di riferimento; che almeno l’80% del litorale deve restare libero da strutture e installazioni, e che ne è consentita la concessione, per un tempo ben circoscritto e dopo il ricorso a istituti di democrazia partecipativa, soltanto ad associazioni o cooperative che per statuto non abbiano scopo di lucro e perseguano finalità di tutela ambientale o finalità sociali.

A partire dall’iniziativa di Napoli, e magari da una proposta normativa nazionale di regolamentazione, si potrebbe pensare di presentare al Parlamento una proposta popolare di legge, ai sensi dell’art. 71, secondo comma della Costituzione, sottoscritta da almeno 50.000 elettori. Sarebbe un’occasione per far partire nel nostro Paese una battaglia di civiltà, di democrazia partecipativa a difesa dei beni comuni e dei diritti fondamentali dei cittadini ad essi riconducibili. 

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