Lontani da quella terrorizzante memoria, esercitatevi con in mente il piacere del fare.

Se in vacanza, ma anche no, vi troverete così con dei vantaggi per autunnali riguardose cene.

Quattrocento grammi di ricotta frullata con quattrocento grammi di spinaci o e bietole sbollentati, insieme a centocinquanta grammi di buon olio, cento grammi di parmigiano e a otto uova intere. Sale q.b. più un non niente di noce moscata, pepe se piace. Il composto dovrà risultare liquido per essere versato in una piccola teglia da arrosto dal bordo alto non meno di cinque centimetri. Tutto andrà poi messo in un forno a bassa e certa temperatura, sempre e comunque sotto i cento gradi. Novantacinque potrebbe essere l’ideale, ma nell’incertezza state più bassi. Quel che risulterà dopo una lunga e lenta cottura, non sarà ne un flan ne un soufflé ma tantomeno uno sformato. Lo chiamerei piuttosto un “formato” o tuttalpiù un “budino salato”. Per essere sincero, quando molti anni fa tirai fuori dalla mia pigra creatività quest’idea era ciò a cui pensavo: “come andare da un latte alla portoghese a un ricottoso toscano”.

Dopo aver controllato la sua stabilità con un classico e rapido stecchino, che nel ritrarsi dovrà risultare asciutto, sporzionatelo con due spatoline metalliche (tipo quelle da gesso). Risulterà stabile come un piccolo parallelepipedo verde che appoggerete su una pomarola arancionata perché ben frullata con qualche foglia di basilico, aglio, olio e burro. In ultimo, sul piatto di portata, aggiungerete due manciatine di parmigiano, una opposta all’altra, lasciando al centro il protagonista che potrete condire, in alternativa, con un semplice burro fuso e salvia o con un cucchiaino di ragù o più semplicemente con dell’altro buon olio e pepe nero macinato grossolanamente. Il procedimento vale anche se userete delle amarognole rape verdi. In questo caso come condimento sostituisco la pomarola e uso un semplice passatino di fagioli, tirato sù con un soffritto di cipolla, aglio e pochissimo rosmarino. In fine sul piatto sostituisco il parmigiano con delle listarelle finissime di pancetta di maiale risaltata in un padellino fino alla sua croccantezza. Se presi da passione volete cimentarvi nel medesimo procedimento con delle belle patate gialle, raddoppiate la dose nell’impasto di parmigiano e come condimento finale raccomando un’abbondanza di ragù di carni miste (manzo, maiale, pollo anche con il suo fegatino) con tutte le sue untuosità e ancora fili di parmigiano ottenuti dal lato mele della grattugia.

Qualche amico, appresa privatamente la mia lezione, mi racconta di essere passato, sostituendole, dalle patate alle carote, sempre con il ragù, o addirittura al cavolo nero dopo le prime gelate novembrine, lasciando invariata la salsetta di fagioli e i fili di pancetta ma togliendo dall’impasto la noce moscata.

Sbagliare le prime volte è lecito, e nessuno sarà lì a darvi un voto, armato di matita rossa e blu.

In ogni caso, se vi troverete lontani dalla perfezione, potrete sostenere alcune versioni: se in famiglia, “che la colpa è del forno”. Scusa questa sempre valida anche per altri necessari insuccessi che determineranno in voi il convincimento per la pratica.

Potrete poi sempre sostenere di aver preso alla lettera il significato della parola “sformato” e chiuderla lì, perché in ogni caso quel che avrete assemblato sarà cosa buona.

Vi è poi, ma non sarebbe gentile nei mie confronti, la possibilità che confessiate di aver seguito imprudentemente le “bischerate” di un cuoco fiorentino.

In ogni caso a settembre, se non l’avete già fatto a giugno, promuovetevi, che l’indulgenza è cosa ben più necessaria di qualsiasi successo.

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