Gli sponsor hanno invaso ogni centimetro quadrato di questa Olimpiade, imponendosi sugli altri marchi, sui piccoli esercizi commerciali e financo sulle libertà personali dei comuni cittadini. “Se qualcuno va in giro per il Parco Olimpico con una maglietta della Pepsi rischia di essere buttato fuori”. Lo ha detto pochi giorni fa Lord Coe, presidente del comitato organizzatore di Londra 2012 in un’intervista a Radio 4, precisando che l’espulsione è dovuta unicamente al fatto che non si può disturbare lo sponsor ufficiale Coca Cola con un marchio rivale. Il duro prezzo da pagare in termini di libertà personale per avere la propria fetta di profitto? Nemmeno per sogno. Grazie a una legge speciale, tutto quello che i marchi ufficiali olimpici guadagnano grazie alla sponsorizzazione dei Giochi – e dalle esclusive ottenute per la vendita dei loro prodotti all’interno dei siti olimpici – è interamente esentasse.

L’esenzione dal pagamento delle tasse agli sponsor olimpici è stata infatti garantita grazie a una deroga speciale dell’Agenzia delle Entrate britannica (HMRC) e decorre per il fatturato registrato su territorio britannico da queste compagnie nel periodo compreso tra il 30 marzo e l’8 novembre 2012. Richard Murphy, direttore dell’osservatorio Tax Research Uk, ha quantificato i mancati guadagni per le casse pubbliche dello stato in decine di miliardi di sterline. A fronte di una spesa collettiva degli sponsor per Londra 2012 di poco superiore ai due miliardi. “Le Olimpiadi si basano su ideali di condivisione e partecipazione, sui cui è basato anche il concetto di tassazione, dove tutti devono dare il loro contributo alla collettività – scrive Murphy sul suo sito – Non solo l’esenzione per gli sponsor mina l’ideale olimpico. Ma, nel concreto, non permette allo stato di recuperare dei soldi dovuti che, in questo momento di crisi, sono assai necessari per i servizi pubblici”.

La HMRC ha però risposto che non si può parlare di mancati guadagni, perché, se non fosse stato stipulato tale accordo di esenzione, le Olimpiadi non sarebbero mai state assegnate alla città di Londra. L’esenzione dalle tasse è infatti parte di un pacchetto richiesto, o sarebbe meglio dire imposto, dal Comitato Olimpico Internazionale (Cio) e si applica per tutte quelle compagnie che sono registrate fuori dai territori amministrati fiscalmente dal Regno Unito (quindi anche quelle registrate nei paradisi fiscali britannici, come la maggior parte delle corporation locali) oltre che ai guadagni ottenuti dagli atleti non britannici. Lo stesso ‘pacchetto olimpico’ che prevede per il Cio anche la disponibilità gratuita (o meglio, a spese della collettività) di 500 autisti e di 40 mila stanze di albergo per la durata dei Giochi. E, ovviamente, essendo il Cio un ente registrato in Svizzera, sono proprio loro i primi a non pagare una sterlina di tasse su un guadagno stimato di 2,7 miliardi di sterline.

Già agli sponsor è stato concesso di imporsi con arroganza su tutto ciò che è olimpico. All’interno del Parco è vietato introdurre pressoché tutto, di modo che poi uno sia costretto a comprare il necessario dagli sponsor. Il monopolio dei pagamenti nei siti olimpici è gestito dalla carta ufficiale dei Giochi, e chi non ce l’ha rischia di non potersi comprare nemmeno una bottiglietta d’acqua. E dall’inizio delle Olimpiadi un contingente di oltre 300 agenti del Locog sta girando la Gran Bretagna per comminare multe salatissime, fino a 20mila sterline, a tutti i commercianti che espongono materiale che reca i nomi registrati – come Olympics, gold, silver, London 2012, e financo summer (estate ndr) – il cui utilizzo è consentito solo agli sponsor ufficiali. Con un macellaio che è stato addirittura costretto a togliere dalla vetrina delle salsicce arrotolate in cinque cerchi. Il tutto per proteggere la dittatura degli sponsor, concedendo loro privilegi che superano la libertà individuale. E ora si viene anche a sapere che questi privilegi sono anche esentasse.

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