Da una parte all’altra del Po l’Emilia Romagna potrebbe essere costretta a ridisegnare le proprie cartine geografiche. Se il governo Monti non farà marcia indietro sull’abolizione delle province infatti, sia Piacenza che Rovigo minacciano iniziative clamorose. La prima, oggi emiliana, potrebbe passare alla Lombardia. La seconda, oggi parte del Veneto, pensa, viceversa, a un’unione con Ferrara per diventare quindi territorio emiliano romagnolo.

Piacenza da sempre, è il meno emiliano di tutti i territori in regione, e quando verranno applicati i nuovi criteri di Palazzo Chigi per la definizione delle Provincie, Piacenza verrebbe annessa al Parmense. “L’ipotesi più probabile dovrebbe l’accorpamento con Parma – ragiona il presidente della provincia di Piacenza, Massimo Trespidi, Pdl, in carica dal 2009 – ma non escludo che qualcuno metta in atto un processo per indire un referendum e fare in modo che la provincia possa cambiare regione e collocarsi in Lombardia”.

Certo, quella della secessione, spiega Trespidi, sarebbe solo una extrema ratio, da prendere in considerazione se Monti non sentirà ragioni. Il governo Monti ha previsto che possano esistere solo le province con almeno 350 mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione territoriale.

Un ragionamento coi numeri che a molti amministratori locali sta stretto. “Bisogna premiare quelle province che rispettano patto di stabilità e hanno i conti in ordine. Se si rischia di lasciare in piedi quelle dissestate, allora  meglio abolirle, ma tutte quante”. Oppure, ragiona ancora il presidente piacentino, si attui un criterio storico ritornando alle prime province del neonato Regno d’Italia. “Torniamo al 1870 quando ce n’erano 69 contro le 107 attuali”. Il piano disegnato dal ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, prevede la riduzione a 40 province (più le 10 città metropolitane). Insomma non molte di meno rispetto alle 69 del 1870.

Ad ogni modo se qualcosa deve cambiare, è oggi il ragionamento dei presidenti che rischiano di vedere sparire le loro amministrazioni, lo devono decidere i cittadini. “In un appello sottoscritto da quasi tutti i sindaci della provincia – dice Trespidi – è previsto che se il governo va avanti con l’idea di sopprimere il nostro ente, si possa pensare a promuovere un referendum per fare decidere ai piacentini dove collocarsi”.

Al referendum pensa anche Rovigo, la provincia veneta confinante con Ferrara, destinata anch’essa, secondo le volontà del governo dei tecnici, a finire accorpata con Padova, o forse, con Venezia. Ma il cuore batte da un’altra parte. “Abbiamo molte affinità con Ferrara e abbiamo in comune il fiume Po”, spiega Tiziana Virgili, Pd, presidente della provincia. Tuttavia facendo parte di due regioni diverse le difficoltà sono quasi insormontabili”. Quasi, appunto. Insomma un accorpamento con Ferrara e quindi con l’Emilia Romagna “non è escluso. I cittadini sono sovrani fino a che qualcuno non cambia la Costituzione”.

Per l’amministratrice rovigotta, che è anche sindaco di Fratta Polesine, paese natale di Giacomo Matteotti, si dovrebbe sempre chiamare in causa il popolo sovrano. Certo, prima bisogna lottare per salvare la propria provincia, poi… “È tutto molto prematuro, prima leggiamo il testo del governo sulla soppressione delle province poi decideremo come muoverci. Non potranno essere i governanti a determinare il territorio su cui vivono i cittadini”.

La Costituzione italiana, riformata proprio in quel punto nel 2001, all’articolo 132 del resto parla molto chiaramente. L’ipotesi secessione per Piacenza e annessione per Rovigo, è tutt’altro che peregrina: “Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati – si legge nella legge fondamentale della repubblica – espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra”. Dunque, mano alle mappe.

IL DISOBBEDIENTE

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