Certi analisti economici  sui media italiani si comportano come quei liceali innamorati persi, ma perennemente respinti. Adolescenti romanticamente obnubilati che ogni tanto credono di cogliere nel vago sorriso dell’amata il segno inequivocabile del cedimento alle profferte e il compimento dei desideri frustrati. Lo spettacolo ha tratti commoventi quando si tratta di teen agers, un po’ meno quando coinvolge adulti intenti a scrutare ogni espressione di Draghi per cogliere l’annuncio fatidico della resa tedesca e il via libera alla monetizzazione del debito o agli eurobonds.

Le gazzette di ieri e di oggi traboccavano di articoli sul bazooka di Draghi, sulla potenza di fuoco illimitata della Bce, sulla determinazione di Draghi,  e come ciliegina, anzi cocomero, sulla torta riportavano “L’uscita dal Tunnel” vaticinata in pompa magna da Monti.

Fatto sta che nella conferenza stampa seguita alla riunione mensile del Consiglio Direttivo della Bce, Draghi ha messo fine alle fregole da liceali con un discorso semplice e chiaro: la Bce intima ai governi di approvare  le riforme strutturali di cui si parla da anni, di adottare una maggiore disciplina fiscale e di rendere i mercati del lavoro e dei prodotti più flessibili. Poi ha escluso che l’ESM (il fondo salva stati) possa avere una licenza bancaria (la Bce lo aveva escplicitamente spiegato in un’opinione legale cinque mesi fa) quindi niente monetizzazione del debito pubblico come si sognavano gli Arlecchini e i Pulcinella. Non solo, ma l’acquisto di titoli sovrani avverrà eventualmente solo dopo che i governi in difficoltà invieranno formale richiesta di sostegno all’EFSF o all’ESM (sempre che a quest’ultimo venga dato il via libera dalla Corte Costituzionale tedesca) e si impegneranno in un memorandum ad un preciso scadenzario di riforme e di interventi di finanza pubblica sotto la tutela della Bce e dell’Ue.

Insomma una sconfessione su tutta la linea di chi vorrebbe che Bce togliesse le castagne dal fuoco ai governi incapaci (ai loro elettori e alle loro clientele). Risvegliatisi dall’ipnosi, coloro i quali avevano sperato (alcuni direbbero speculato) sulla distribuzione della droga monetaria, è rimbalzato violentemente nella realtà e i titoli accumulati (speculativamente?) nei due giorni precedenti sono stati rimessi sul banco dei saldi.

Per evitare un ennesimo abbaglio molti mi chiedono qual è la chiave di interpretazione da usare per districarsi dalla selva di interpretazioni, illusioni, cicalecci mediatici e consigli dei promotori finanziari. Secondo me la partita che si sta giocando a livello europeo è di disarmante semplicità per chi voglia vederla e, per quanto l’oggetto del contendere sia di natura economica, il campo di battaglia è squisitamente politico.

Il governo tedesco ma soprattutto l’opinione pubblica e l’elettorato tedesco (incluso quello di sinistra) non hanno alcuna intenzione di farsi trascinare nelle follie fiscali mediterranee,  soprattutto dopo l’aiuto fornito a piene mani alla Grecia, senza che i governi facessero alcunché di serio per meritarlo. Quindi dopo aver ceduto di fronte ai salvataggi di Irlanda e Portogallo e aver progressivamente accettato di aumentare le dotazioni dei fondi salva stati e salva banche, hanno deciso a dicembre 2011 che su Spagna ed Italia si doveva cambiare registro non fosse altro perché non ci sono i soldi per tenere a galla due zavorre di tal calibro. A Berlino sanno che se i cordoni della borsa si allentassero, un minuto dopo ritornerebbero a spadroneggiare Berlusconi ed i suoi da soli o in combutta con Bersani o Casini (con l’aggiunta di Vendola) a seconda delle convenienze. Quindi la strategia prevede che la pressione sui governi italiani e spagnoli (il purgatorio luterano) venga mantenuta finché non si spezza l’architrave del consenso che ruota intorno a quella che noi chiamiamo casta e a Berlino considerano alla stregua di una delle tante mafie attive in Italia. In questa difficile partita tuttavia c’è il rischio che per un qualche motivo imprevedibile, si generi uno shock che possa far saltare l’euro. Questo per Berlino sarebbe un disastro sia per le ripercussioni economiche, ma soprattutto per il capitale politico e gli impegni che sono stati profusi in 60 anni per creare un’Europa che avesse un qualche peso mondiale.

Pertanto in caso di emergenza seria è gia’ deciso che la Bce userà davvero il bazooka (per meglio dire una rete di protezione) ricorrendo a tutte le misure ordinarie e straordinarie per evitare il collasso trumatico di un paese. Questo ha inteso dire Draghi a Londra senza che a Roma e altrove capissero. La Bundesbank recalcitra un po’ perché sente di dover recitare la parte in commedia, un po’ perché vuole che i contorni delle situazioni di emergenza siano precisamente delineati e il tipo di interventi stabilito in anticipo. In altri termini, Weidemann vuole evitare che con la scusa dell’emergenza qualcuno si appresti a inscenare il furbetto del Quirinalino.

En passant, su questa linea c’è l’accordo pieno di Hollande, il quale passate le elezioni ha ripreso esattamente lo stesso ruolo di Sarkozy a parte un po’ di belletto post elettorale su qualche misura marginale. Avete più sentito parlare di misura per la crescita? Udite forse il suono magico della parola eurobond? In sostanza, Draghi, in piena sintonia con i paesi euroforti, ha ribadito che per il momento il bazooka non ha colpi in canna e la Bce al massimo comprerà titoli pubblici per non far precipitare le situazione. Ma con calma. Forse fra qualche settimana, dopo che si saranno discusse le linee guida (campa cavallo). Monti dal canto suo invece di andare in giro per l’Europa, dovrebbe prepararsi per gli esami di riparazione imparando a far di conto senza troppi Grilli per la testa.

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