Luigi Lusi non va rimesso in libertà, ma il Tribunale del Riesame deve valutare la possibilità di sostituire la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. Lo scrive la Sezione Feriale Penale della Cassazione, nella sentenza 31503, di martedì depositata questa mattina, rilevando che nell’ordinanza precedente,  il rischio di fuga esiste, ma “i giudici del Riesame non hanno speso neanche una parola” per spiegare il no alla richiesta dei domiciliari. Intanto la procura di Roma ha dato parere favorevole alla concessione dei domiciliari, ma subordinata alla tutela delle esigenze cautelari, che “devono essere mantenute perché non si è ancora conclusa l’indagine” sull’attività dell’ex tesoriere della Margherita. Questa la posizione del pubblico ministero Stefano Pesci; a decidere ora sarà il gip del tribunale di Roma.

La Corte di Cassazione ha confermato quindi l’impianto accusatorio, rilevando che sussistono gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’ex Tesoriere della Margherita (accusato di associazione a delinquere finalizzata alla appropriazione indebita), rimarcando come nell’ordinanza del Riesame del 24 maggio scorso con la quale venne confermata la misura cautelare   “non si evidenziano profili di incongruenza nella motivazione in tema di gravità indiziaria concernente l’ipotesi associativa ascritta” al senatore. 

Condividendo la tesi del Riesame, la Suprema Corte evidenzia quindi “la struttura dell’associazione a delinquere facente capo” a Lusi, il quale “aveva provveduto a distribuire a ciascun associato i rispettivi compiti, non senza aver prima messo al corrente i sodali che, avendo ricevuto illimitata fiducia da parte dei componenti del partito Democrazia e Liberta – La Margherita ormai prossimo all’estinzione, era in grado di operare del tutto indisturbato sul conto corrente aperto dalla predetta associazione politica presso l’agenzia della Bnl ubicata all’interno del Senato“. Non “un accordo occasionale ed accidentale”, sottolinea la Cassazione, ma “una vera e propria “affectio societatis protrattasi per ben 4 anni (e destinata a proseguire finché nessuno si fosse accorto di nulla)” e la “necessità della schermatura” costringendo gli associati per delinquere a ricercare sempre modi differenti per oscurare gli sprechi e per acquisire immobili prestigiosi, oltre che per investire nelle polizze Alliance, modi non coerenti con il patrimonio di cui Lusi poteva legittimamente disporre quale “avvocato di provincia” e neo senatore da poco più di un anno”.  Nella sentenza si rileva inoltre una “precisa volonta’ dell’indagato di inquinamento nei confronti dei testimoni a suo carico, vuoi esponenti della Margherita, vuoi dipendenti della medesima associazione politica, nei confronti dei quali Lusi aveva evocato una sorta di ‘patto di spartizione’ di cui egli sarebbe stato il garante”. 

La Cassazione, che ha annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame, ha ritenuto fondato solo un punto del ricorso presentato dai difensori del senatore, quello riguardante l’omessa argomentazione sulla “conformità dell’ordinanza coercitiva ai principi di proporzionalità e adeguatezza”. I legali di Lusi infatti, avevano chiesto al Riesame la sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. Sul punto, nell’ordinanza impugnata, osserva la Cassazione, vi è “assoluta mancanza di motivazione”: il Riesame di Roma dovrà ora procedere “al doveroso giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare applicata a Lusi” e risolvere anche una “contraddittorietà” che emerge dall’ordinanza impugnata, risultante dall’affermazione secondo cui “nel caso di specie il reato era reso possibile esclusivamente dalla carica di tesoriere rivestita da Lusi” con il dato rappresentato, e preso in considerazione in riferimento alle esigenze cautelari per i due commercialisti della Margherita Mario Montecchia e Giovanni Sebastio, anch’essi indagati, ma sottoposti all’obbligo di firma, “dal non ricoprire più il Lusi l’incarico di tesoriere del partito”.  D’altro canto secondo la Corte “i giudici del Riesame hanno fatto correttamente riferimento non solo ai cospicui investimenti fatti in Canada da Lusi e alle solide radici familiari che la moglie ha in tale paese, ma anche al dispendiosissimo stile di vita dell’indagato, elemento caratterizzante ed incentivante nel ‘proseguire nella strada già intrapresa e pertanto rilevante anche ai fini del reputare concreto il pericolo di reiterazione di altri reati della stessa specie'”.

 

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