Per la prima volta dall’inizio dello scoppio della rivolta in Siria, ormai diciassette mesi fa, forze dell’esercito regolare di Damasco si sono scontrate nella notte con l’esercito giordano lungo il confine tra i due Paesi. Lo scrive il corrispondente dell’agenzia Ansa da Beirut, aggiungendo che gli scontri sono stati confermati da fonti alla frontiera, dopo che gli attivisti siriani hanno pubblicato nelle ultime ore video dei combattimenti notturni.

E’ un nuovo tassello dell’escalation di violenze e combattimenti che nelle ultime settimane sta travolgendo il paese arabo al centro del Medio Oriente. L’allarme internazionale è concentrato su Aleppo, seconda città del paese per importanza, e snodo economico essenziale. Secondo le informazioni diffuse dai gruppi della resistenza armata, l’esercito regolare si starebbe preparando a una offensiva massiccia sulla città, già ripetutamente colpita da elicotteri d’attacco e aerei dell’aviazione militare del governo. I combattenti del Free Syria Army, che affermano di controllare gran parte della città da due milioni di abitanti, si stanno preparando al colpo che l’esercito si appresta a infliggere, dopo aver spostato alcune colonne blindate dalla provincia di Idlib.

Lo spostamento di truppe, secondo fonti dell’opposizione siriana raggiunte direttamente, sarebbe necessario perché a condurre le operazioni anti-ribelli sarebbero in realtà solo quattro divisioni dell’esercito regolare, quelle sulla cui lealtà il regime può contare. Le altre divisioni rimangono nelle caserme a causa, dicono le fonti, della paura di un alto numero di defezioni verso le file del Fsa. L’ultima defezione di rilievo, civile e non militare, riguarda invece una parlamantare di Aleppo, Ikhlas Badawi, eletta nel parlamento siriano nelle scorse elezioni di maggio. Badawi, secondo l’Agence France Presse, ha lasciato la Siria per la Turchia, da dove andrà poi in Qatar. Al canale arabo di Sky News, la parlamentare ha detto di aver deciso di lasciare il paese “a causa della repressione e della tortura selvaggia contro una nazione che chiede un minimo di diritti”.

In Qatar sono in corso colloqui tra alcuni esponenti dell’opposizione, tra cui l’ex generale Manaf Tlass – finora la figura di più alto livello a mollare Assad – per cercare di gettare le basi per un governo di transizione capace di gestire il passaggio a un nuovo assetto politico se e quando Bashar Assad sarà costretto (o deciderà) di lasciare il potere. Tlass sta rapidamente emergendo come uno degli interlocutori che i paesi della regione considerano più accreditati per un ruolo nella Siria post-Assad, nonostante il ruolo che egli stesso ha avuto nel regime. Nel corso di una visita in Turchia, dove ha incontrato il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, Tlass ha spiegato che per evitare il tracollo completo del paese, bisognerà evitare di smantellare le strutture dello stato, nonostante i necessari cambiamenti se e quando il regime dovesse cadere. In questo processo, ha detto ancora Tlass, devono essere inclusi si gli esponenti del governo “che non hanno le mani sporche di sangue”. Con l’appoggio della Turchia e dell’Arabia saudita, Tlass starebbe lavorando – secondo al Arabiya – a una roadmap per uscire dalla crisi, ma bisogna ancora chiarire i suoi rapporti con il resto delle forze dell’opposizione, a partire dal Consiglio nazionale siriano che finora è stato l’interlocutore principale almeno sul piano politico e che ora è guidato da George Sabra, oppositore cristiano.

Mentre le manovre diplomatiche prendono forma, secondo l’Afp, l’offensiva ad Aleppo potrebbe scattare già oggi, venerdì di Ramadan, o domani. Il Fsa afferma di avere circa 4mila combattenti nella città, concentrati nei quartieri meridionali e orientali. Secondo il comando del Fsa, l’esercito regolare avrebbe schierato un centinaio di carri armati e un numero altrettanto rilevante di veicoli blindati della fanteria.

L’Onu ha lanciato un allarme sul possibile esodo dei civili da Aleppo, che andrebbe ad aggravare la situazione già molto faticosa ai confini del paese, nonché in Libano, Giordania, Turchia e Iraq. Una delle organizzazioni non governative italiane che si trova sul posto, Un Ponte per… (www.unponteper.it), ha lanciato un appello, per sottolineare come il Piano di risposta regionale a una crisi umanitaria che coinvolge già almeno 200mila persone e che potrebbe arrivare a 650mila, abbia ricevuto solo poco più del 21 per cento dei fondi promessi. “Nell’ultima settimana, il flusso di profughi in arrivo in Giordania appare inarrestabile: ogni giorno circa mille persone valicano il confine. Per fronteggiare l’emergenza, il governo ha deciso di allestire un grande campo rifugiati nel deserto a scapito del sistema di accoglienza messo in campo sinora, che ha funzionato in modo efficace permettendo ai siriani di vivere al fianco della comunità locale in Giordania. Il campo di Za’atari potrà ospitare 130mila persone e molto probabilmente non sarà possibile uscirne a differenza degli attuali centri di accoglienza” scrive Un Ponte per…, che ricorda anche “la situazione disperata dei palestinesi in Siria, rifiutati da tutti i paesi confinanti. Pochi giorni fa, 5700 persone hanno lasciato le loro case a Damasco per rifugiarsi in edifici scolastici. Il campo di Yarmouk è circondato dall’esercito”. Per cercare di intervenire, Un Ponter per… ha lanciato una campagna di raccolta fondi, assieme a organizzazioni locali, come l’Unione donne giordane, Amel (Libano) e Public Aid Organization in Iraq.

di Joseph Zarlingo

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