“La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani”. Per 60 anni questa frase dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi è stata uno dei pochi chiari pronunciamenti di una istituzione dello Stato italiano su di un tema fondamentale per i destini del nostro paese: la salvaguardia dei suoli agricoli e del paesaggio. Ci ho ripensato ieri mattina, mentre un ministro del nostro Governo, il responsabile delle politiche agricole, alimentari e forestali Mario Catania, presentava la prima bozza di una proposta di legge che costituisce un fatto nuovo e – soprattutto di questi tempi – per niente scontato.

Cogliendo quella che forse è una delle questioni più sentite dalla società civile (che la esprime attraverso associazioni ambientaliste e centinaia di comitati locali), Catania ha fatto propria la necessità di promuovere una iniziativa legislativa che ponga un freno al consumo di suolo agricolo nel nostro paese. Ci siamo sbranati il 28% della superficie agricola nazionale negli ultimi 40 anni. In parte ciò è avvenuto a causa dell’abbandono dei terreni (soprattutto quelli marginali, più difficili da lavorare e meno redditizi) e tutto sommato questo è un fenomeno che – pur se preoccupante – ha una certa ciclicità nella storia e non comporta una definitiva compromissione della fertilità dei suoli. Ma è soprattutto la cementificazione, o meglio l’impermeabilizzazione, dei suoli a destare preoccupazione, poiché si tratta di un fenomeno irreversibile. Il Ministro Catania ha voluto sottolineare, tra gli altri, un aspetto spesso trascurato: il livello di autoapprovvigionamento alimentare dell’Italia è già oggi molto basso e la continua perdita di terreno agricolo sta portando il nostro paese a dipendere sempre più dall’estero per garantirsi le risorse alimentari necessarie. Quasi tutte le previsioni ci dicono che importare dal mercato mondiale in futuro sarà sempre più costoso e nessuno si sente di garantire che in una prospettiva di medio-lungo termine il mercato sarà “pacifico”.

Insomma, difendere il suolo agricolo non è solo una giusta opzione per l’ambiente, il paesaggio, la buona agricoltura. E’ una scelta strategica per il Paese, tanto più in questo momento di crisi in cui non è con la semplice correzione della rotta che si risolvono i problemi: occorre un cambio di paradigma, nuovi modelli di sviluppo. E il suolo agricolo costituisce uno degli asset fondamentali per il futuro dell’Italia.

La bozza di disegno di legge è migliorabile ma è buona. E’ imperniata su 3 elementi. Il primo è l’idea di determinare l’estensione massima nazionale di superficie agricola edificabile, con lo scopo di porre un tetto massimo non superabile al consumo di suolo.

Il secondo elemento, a complemento del primo, è il congelamento del cambio di destinazione d’uso per i terreni agricoli che hanno ricevuto un aiuto comunitario: se prendi i soldi della Pac, per 10 anni non puoi rendere edificabili quei terreni.

Il terzo punto (forse il più importante) è l’abrogazione della normativa che consente ai Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente.

Catania ieri ha affermato di aver trovato appoggio nei colleghi Clini, Moavero, Ornaghi e – udite bene! – Passera. Di sicuro ha incassato il consenso di quelle organizzazioni che da anni si battono per fermare il consumo di suolo in Italia, che hanno apprezzato non solo la proposta ma il quadro entro cui essa è stata presentata. Il ministro ha invitato le associazioni a mandare i propri contributi per migliorare il testo e credo sia importante che quanti hanno esperienza e competenza in materia rispondano a questo appello.

Nei giorni drammatici e indecifrabili di questa assurda e violenta crisi finanziaria, mi è sembrato di vedere una luce di speranza in fondo al tunnel: da anni anche Slow Food combatte perché il consumo di suolo sia fermato e nel Forum Salviamo il Paesaggio abbiamo incontrato migliaia di cittadini e centinaia di realtà che condividono la stessa battaglia. Speriamo che questa luce di speranza non si spenga, vigiliamo sulla vita di questo disegno di legge, teniamo alta l’attenzione e non manchiamo di far sentire la nostra voce: le occasioni non mancano, per chi ha voglia di partecipare. E mai come oggi la partecipazione è necessaria e fondamentale.

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