Giù le mani dall’antipolitica. E’ scontro frontale tra il movimento di Beppe Grillo e il piccolo partito Unione Popolare (UP) che da maggio sta raccogliendo le firme per abolire la diaria dei parlamentari, un’operazione referendaria anticasta dal sicuro impatto ma dall’esito quanto mai incerto. Lo scontro nasce e corre in Rete da tempo, ma oggi si materializza anche su Sky Tg 24 (ore 15-15.30) con un confronto diretto tra il segretario politico dell’Up Maria Di Prato e il consigliere del M5S torinese Vittorio Bertola, che ha definito l’intera operazione ‘una bufala’.

Tutto verte sulla validità delle firme raccolte a migliaia al motto “tagliamo gli stipendi d’oro dei parlamentari”. Chi non metterebbe la croce sopra? Il problema è che le firme raccolte tra maggio e luglio (il termine è il 31, a quanto pare) potrebbero essere nulle. La legge che disciplina la materia referendaria (Legge 25 maggio 1970, n. 352) individua infatti finestre temporali e paletti procedurali precisi nell’anno che precede lo scioglimento delle camere, com’è a tutti gli effetti il 2012. Il primo problema riguarda il deposito delle firme che l’articolo 31 della legge vieta nell’anno anteriore alla scadenza di una delle Camere. Le firme si possono raccogliere ma possono essere depositate solo dal primo gennaio 2013 per poi svolgere il referendum l’anno successivo, nel 2014.

Ma i dubbi non sono finiti. C’è anche un problema di validità delle firme raccolte perché l’art. 28 del testo stablisce che “salvo quanto disposto dall’art. 31 il deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori deve essere effettuato entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi a norma dell’articolo 7, ultimo comma”. Le firme depositate quindi non devono essere più vecchie di 90 giorni e quelle raccolte sarebbero scadute da un pezzo.

Insomma, un pasticcio che è stato sollevato dagli stessi cittadini che si erano mobilitati per sostenere il quesito e sul quale il M5S ha poi messo il carico polemico, accusando i promotori di dilettantismo, demagogia e malafede sulla pelle dei cittadini. Perfino di puntare spudoratamente a fare cassa con rimborsi. “Questa è una diffamazione bella e buona da parte dei grillini, finora abbiamo speso 30mila euro autofinanziandoci e se avremo un giorno dei rimborsi li devolveremo”, sbotta la Di Prato che finalmente, bersagliata dalla domanda, scioglie le riserve sull’intenzione finale di entrare in Parlamento. “Ebbene sì, Unione popolare correrà alle prossime politiche, è un movimento fatto di cittadini e abbiamo fatto tutto per ridare equità al Paese, dal referendum contro i nominati in Parlamemto a questo contro i privilegi dei parlamentari. Mi sembra strano poi che un movimento anticasta che dovrebbe firmare per primo ne attacchi a un altro, forse perché li offuschiamo. E poi mi sembra che anche il M5S voglia correre alle elezioni”.

Insomma da che pulpito, dice la Di Prato. Ma lei si candida? “Non io direttamente, io voglio candidare un progetto”. Poi il correttivo “voglio dire che non importa poi se sono io o non sono io, premieremo chi avrà avuto dei meriti in queste battaglie. Non faremo primarie ma la dirigenza di Up lancerà un’attenta campagna di raccolta delle candidature aperta a tutti i talenti e delle capacità con criteri di selezione oggettivi. Non candinderemo gente inquisita, gente che viene dalla politica come Parisi potrebbe rientrare perché non facciamo la caccia alle streghe come Grillo”. Candidati, primarie, tutta roba prematura perché qui siamo ancora a capire se il referendum chiesto ad aprile e prossimo alla chiusura della campagna di raccolta firme è legittimo o meno.

La partita è molto delicata perché è sul filo di questo verdetto che si gioca la credibilità dei promotori e al tempo stesso la possibilità per loro di monetizzare il consenso nelle urne con migliaia di voti. La parola ai professionisti del referendum. Quelli contattati dal Fatto Quotidiano non hanno dubbi: le firme raccolte finiranno in un cassonetto bianco di via Cavour, perché quando sarà possibile depositarle saranno già vecchie. “La pretesa di congelarle fino a gennaio è davvero curiosa, di congelato c’è solo il pesce”, ironizza Valerio Onida, presidente dell’associazione dei Costituzionalisti (Aic). Stesso discorso per Augusto Barbera (“la legge parla chiaro, dovranno inventarsi qualche escamotage”), Tommaso Frosini (“la legge impone continuità nella raccolta, quella a puntate non si era mai vista”) e tanti altri.

Up però schiera pareri opposti come quello di Andrea Morrone, una vita passata dietro i referendum (compreso quello sul porcellum di cui era presidente e finito nel nulla) tanto da farci un libro (La Repubblica dei referendum, Il Mulino, 2003): “La legge è da sempre poco chiara o meglio sembra voler dare maggior peso alla democrazia rappresentativa che a quella diretta ponendo limiti al referendum che sono troppo stretti e in alcuni passaggi poco giustificabili, come il divieto di deposito nell’anno pre-elettorale. So che i promotori stanno pensando di presentare quelle firme a settembre con l’intenzione di impugnare un’eventuale rigetto della Cassazione alla Corte Costituzionale”, dice Morrone. Così la penserebbero altri costituzionalisti Clarizza, Loidice, Guzzetta. Alla fine l’unica certezza è che il referendum, se si potrà celebrare, si svolgerà solo nel 2014.

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