Rita Atria non avrà una foto sulla tomba a ricordarla, neppure adesso che sono trascorsi vent’anni dalla sua morte. A Partanna (Trapani), suo paese natale, la memoria della giovanissima testimone di giustizia che collaborò con Paolo Borsellino non riesce ancora a trovar pace. La famiglia non vuole che il 26 luglio, giorno dell’anniversario, la piccola lapide con la foto venga collocata lì dove è stata distrutta, vent’anni fa, dalla madre di Rita, che la frantumò a martellate nell’ultimo, drammatico, tentativo di far proprio il destino di una figlia che le era sfuggita di mano. Ne verrà realizzata un’altra, in uno spazio diverso del cimitero di Partanna, ma nei giorni successivi, “perché non c’è stato tempo sufficiente per le necessarie autorizzazioni”, spiegano gli organizzatori.

Il 26 luglio Rita sarà comunque ricordata in una manifestazione pubblica. “L’iniziativa nasce dal desiderio di darle, almeno nel ventennale della sua morte, un riconoscimento come partannese”, Piera Aiello, cognata della ragazza e anche lei testimone di giustizia, segue con trepidazione l’organizzazione dell’appuntamento, a distanza, dalla località segreta in cui vive con i figli. “Che Rita sia ricordata in tutta Italia è molto bello – continua – ma farlo a Partanna è un segnale forte e preciso. Ancora non ci credo, aspetto con impazienza che sia domani, nella speranza che si avveri finalmente il desiderio di sentire il nome di Rita non più pronunciato solo a fior di labbra”. È un ricordo che lacera la famiglia e la comunità, quello della giovane Atria, perciò ancora oggi ricordarla in pubblico è un gesto affatto banale, che supera la retorica delle celebrazioni. Parlare ad alta voce di lei e della sua storia vuol dire cristallizzare in un modello positivo il coraggio della sua scelta, per riproporlo ai giovani e, soprattutto, agli adulti di Partanna. “Solo dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici”, scriveva nel diario la ragazza. E sapeva esattamente ciò che diceva perché lei, in una piovosa mattina di novembre, dai carabinieri c’era andata veramente, saltando scuola, per raccontare tutto ciò che sapeva dell’uccisione del padre e del fratello Nicola, ma anche degli affari dei mafiosi di Partanna. Senza tentennamenti aveva denunciato ai magistrati le persone a sé care, familiari e amici, seguendo le orme della cognata Piera, anche lei testimone di giustizia dopo l’omicidio del marito Nicola.

Il percorso di Rita sarà segnato da un incontro importante, perché la giovane troverà ad ascoltarla Paolo Borsellino, allora procuratore di Marsala, o “zio Paolo” come imparerà presto a chiamarlo. Sarà lui a confortarla nei momenti di profonda solitudine, tentando persino di favorire una sua riconciliazione con la madre che l’aveva ripudiata e minacciata di morte. Un rabbioso e disperato tentativo di riportare a casa la “picciridda”. Ma Rita non avrà tentennamenti e sopporterà a lungo e con caparbietà il peso della sua solitudine. Fino a che qualcosa si romperà. Quando nel terribile 19 luglio del 1992 la mafia ucciderà anche Paolo Borsellino. “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita – scrive nel suo diario – Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi”. Si getterà nel vuoto una settimana dopo. Domani a Partanna si proverà a ricordarla. Don Luigi Ciotti e il Vescovo della Diocesi di Mazara del Vallo monsignor Mogavero celebreranno una messa in suo ricordo. “Anche la celebrazione religiosa è importante – conclude Piera Aiello – perché rappresenta un passo in avanti rispetto al passato. Quando anche le porte della chiesa di Partanna sono state per Rita un muro insormontabile”.

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